di Fabrizio Casari

Adesso è legittimo dirlo: Berlusconi è un evasore fiscale. Nulla che già non si sapesse, ma la sentenza della Corte di Cassazione chiude con ogni, pur giusta, forma di garantismo lessicale. Per alcuni è motivo di grande soddisfazione, per i suoi tifosi di disperazione. Ma quanto deciso ieri nel Palazzaccio ha certamente scritto la parola fine non solo sulla vicenda della truffa al fisco, quanto con un utilizzo della giustizia a fini privati che nell’ultimo ventennio ha caratterizzato l’impianto legislativo. Leggi ad personam, guerriglie procedurali, utilizzo del potere mediatico e politico per sottrarsi al giudizio dei tribunali, non sono stati sufficienti.

Si attende ora il ricorso a Strasburgo, dove la Corte Europea di Giustizia riceverà presto le carte difensive degli avvocati dell’ex-premier. Non ha però nessuna chance di vittoria il ricorso, dal momento che la Corte Europea di Giustizia può intervenire solo ove ritenesse violato il diritto ad un equo processo, il che sarebbe davvero paradossale. Con la condanna definitiva di ieri, invece, si chiude per sempre l’illusione da parte di Berlusconi e dei suoi dipendenti diretti ed indiretti di far passare alla storia come statista il Cavaliere di Arcore. Trova conferma, semmai, la tesi di chi ha ritenuto e ritiene come tutto il suo percorso imprenditoriale e politico si sia determinato all’ombra di una continua illegalità. E adesso? Quali scenari si aprono sul piano politico?

La destra, asserragliata al capezzale del suo conducator, ribadisce come la vita del governo non sia in pericolo e lo stesso atteggiamento sembra risiedere del PD. La sentenza della Corte di Cassazione è del resto un capolavoro di abilità nel miscelare il sostegno alle precedenti sentenze di Assise e Appello ma garantendo comunque la stabilità politica annullando l’aspetto più politicamente indigeribile per il PDL e, di conseguenza, per il governo. Il dispositivo della Suprema Corte, infatti, conferma la condanna emessa dalla Corte D’Appello contro Berlusconi ma annulla la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, rinviando ad una nuova sezione della Corte D’Appello la determinazione di un nuovo giudizio. Questo, ovviamente, permetterà successivamente l’ennesimo ricorso alla stessa Cassazione. Dunque un nuovo processo.

Il respiro di sollievo più profondo alla lettura della sentenza è stato quello della coppia Letta-Napolitano. Il loro governo, creatura prodotta in laboratorio e la cui sopravvivenza riproduce costantemente un equivoco politico e persino lessicale, è salvo. Il PD potrà continuare a governare con il PDL e quest’ultimo continuerà a dirigere il governo con un sapiente gioco di ricatti e ultimatum. Perché è del tutto evidente che a Via del Nazareno l’imbarazzo resterà comunque alto, dal momento che un dato è incontestabile: il partito con cui si governa è proprietà di un condannato per via definitiva.

Sul piano politico, comunque, è iniziata la crisi terminale della destra italiana. Priva di valori europei, carente di cultura illuministica e liberale, del tutto assenti riferimenti culturali, appare comunque allo sbando, dal momento che è un aggregato eterogeneo tenuto insieme solo dalla devozione al leader e padrone. La sua uscita di scena non sarà immediata, ma da stasera le pur prevedibili dichiarazioni di combattimento, avranno un retrogusto diverso da prima. Le grida manzoniane non riusciranno a coprire paure, incertezze e dubbi, la nuova trinità di una destra da ora in cerca di un nuova identità per sopravvivere.

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