di Fabrizio Casari

Leggendo i risultati della tornata di elezioni amministrative ci sono quattro elementi che risultano evidenti oltre ogni ragionevole dubbio: il voto è ormai rito di minoranza, nella migliore delle ipotesi di maggioranza risicata; il centrosinistra pare voler tentare una complicata resurrezione grazie alla disciplina repubblicana della quale i suoi elettori sono dotati; il Movimento 5 stelle ha già iniziato a pagare il conto del suo posizionamento inutile al fine del cambiamento e si presenta ormai come un mix di scelte politicanti e incapacità di governo del suo stesso consenso elettorale; la destra, priva di Silvio Berlusconi, è priva anche di ogni speranza di vittoria politica.

L’astensionismo è figlio naturale dell’assenza della politica dai temi che riguardano la vita delle donne e degli uomini. Accartocciata sui gorgoglii di stomaco dei funzionari UE, incapace di trovare risposte alla crisi economica ed a quella democratica che ne consegue, risulta inutile anche ai all’esigenza di rappresentanza della maggior parte della popolazione, che quindi vota più che mai “contro” qualcuno e qualche sigla, più che “per” qualcosa da fare. Ma intanto, visto che il dibattito sulla legge elettorale è in corso, si può dire che senza il Porcellum qualcuno vince sempre. Per i Comuni e le Regioni, dove l’infernale trappola di Calderoli non trova applicazione, i risultati sono infatti netti. Dunque una buona legge elettorale serve eccome a garantire la governabilità.

Il risultato più importante, ad oggi, è quello di Roma, dove l’ottimo Marino riscuote un successo notevole al primo turno. Sembrerebbe l’esibizione di un certificato di esistenza in vita da parte del PD, ma non è di questo (o almeno non solo) che si tratta, dal momento che l’emorragia di voti non cessa. Il motivo di questo successo romano risiede invece nel candidato, tanto nelle posizioni da lui espresse che nel modo stesso di candidarsi.

Marino ha vinto le primarie contro la nomenklatura del partito, che infatti poco e male lo ha sostenuto;  ha poi espresso chiaramente il dissenso dal governo delle larghe intese, ha reiterato come vadano ampliate le distanze tra le due sponde del Tevere in materia di diritti civili ed ha avuto il coraggio di dimettersi da Senatore prima e non dopo il voto. Si è quindi candidato a sindaco di sinistra, riproponendo concetti e programmi che sono patrimonio di una sinistra attenta al sociale e che di liberale ha solo la cultura dei diritti civili.

Medici, il candidato della sinistra che si sente talmente a sinistra fino a scomparire dalla mappa, ha ottenuto una percentuale insignificante, il cui unico risultato utile è stato quello di non ampliare eccessivamente le distanze per il ballottaggio, così da impedire eccessi di sicurezza e rilassamento nei prossimi quindici giorni che ci separano dal voto decisivo. Spicca poi il fallimento del M5S, che ha presentato un personaggio davvero poco convincente e che si è sommato al disamore già autosviluppatosi verso Grillo, che solo pochi mesi prima aveva convinto tanta parte dell’elettorato di sinistra a votarlo alle politiche. I deliri dei suoi capigruppo, i riti dello show cominciati con il Presidente e finiti con gli scontrini, la commedia della trasparenza che diventa però omissis quando Report chiede lumi sui conti di Grillo e Casaleggio, hanno già prodotto l’effetto boomerang del famoso vaffanculo.

La destra, sconfitta in tutta Italia e con ogni veste con la quale si è presentata (Lega, FI o ex AN) come si diceva si conferma in crisi di credibilità quando il suo proprietario, Silvio Berlusconi, non scende direttamente in campo con le corazzate televisive e la pioggia di denari. La Lega di Maroni viene ridotta ai minimi termini proprio sul terreno che più le era congeniale, quello dell’insediamento territoriale a livello locale. Un terreno che ha sempre rappresentato l’esercito di riserva di voti che il Carroccio ha dispiegato sul tavolo del PDL per ottenere un ruolo politico nazionale, a fronte di un ruolo locale decisivo al Nord in virtù anche del disegno dei collegi e delle circoscrizioni elettorali ulteriormente viziato dal Porcellum.

E se nelle città “rosse” il centrosinistra ritrova in buona parte il suo elettorato, riscendendo verso Roma va detto che c’entra davvero poco il derby nella sconfitta di Alemanno.  La partita dura due ore, per votare ce ne sono a disposizione 24. Oltre tutto, molti di quelli che affollano le curve sono gli stessi che disertano le urne. Ma il fatto è che Alemanno (a Roma da tutti chiamato Ale-danno) è stato il protagonista nero di cinque anni di sfascio totale della città eterna.

Tra parentopoli e malgoverno, spocchia e incapacità, conti alla deriva, apologia di fascismo a ciclo ininterrotto e reingresso dalla porta di servizio di figuri usciti da ogni inchiesta criminale (sia essa di terrorismo che di delinquenza comune) la città è piegata e piagata come non mai. Ale-danno è stato, né più né meno, il peggior sindaco della storia della città.

Anche il risaputo vestito di nuovo non ha avuto miglior sorte. Arfio Marchini si è infatti attestato sulla stessa soglia della Lista Civica di Monti alle politiche. D’altra parte essere attore primario in società pubbliche e private, rappresentare interessi e lobbies di ogni tipo (in particolare immobiliari) e presentarsi poi in pubblico come il salvatore della patria, presupporrebbe che gli elettori fossero completamente scemi. Così non è.

La Roma avvilita e depressa, incattivita e intollerante, prepotente ma frustrata, sa riconoscere - in mezzo a tutti i suoi difetti e le sue perversioni - la differenza che passa tra chi soffre e chi gode, tra le migliaia di famiglie senza niente e le teste cotonate che regnano e hanno sempre regnato girando le forchette sul tessuto urbanistico e sociale della città e che, per colmo di sfacciataggine, si presentano indicando le ricette per il male che essi stessi hanno contribuito a creare.

C’è ancora da lavorare prima di chiudere la partita a Roma e in altre città. Vietato sedersi pensando che ormai è fatta, la rimonta di Ale-danno su Rutelli lo insegna. E vietato anche pensare, stupidamente, che uno in fondo vale l’altro, perché mai la distanza tra due concezioni della politica e dell’etica sono state più distanti come tra Marino ed Alemanno. La città non può sopportare altri cinque anni di scandali e affari all’ombra del Campidoglio e sotto le tonache d’Oltretevere.

Il Centrosinistra dovrà intensificare gli sforzi e proporre davvero un nuovo progetto di rinascita per la città, un modello di governo alternativo al dominio dei poteri forti. E dovrà trovare ogni comunanza con la sinistra più autentica, che non è rappresentata, quella delle moltitudini silenziate. Sì, proprio quella sinistra che affollava le vie di Genova ai funerali di Don Gallo, dovrà mobilitarsi per far vincere Marino e iniziare da Roma, con tenacia e pazienza, ad aprire un varco che diventi, tra quindici giorni, la nuova breccia di Porta Pia.

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