di Fabrizio Casari

Nella generale confusione, alcuni dati appaiono incontrovertibili. Il PD di Bersani ha perso circa 4 milioni di voti rispetto alle ultime elezioni, ma sono due consultazioni impossibili da paragonare per il quadro nel quale si sono svolte e i partiti che vi hanno partecipato; il Movimento Cinque Stelle ha raggiunto il suo straordinario successo poggiando le radici anche su quei milioni di voti persi dal PD. Monti non raggiunge la doppia cifra causa diritto al voto anche dell’elettorato a medio e basso reddito. Berlusconi sopravvive, pur perdendo milioni di voti, grazie alla connessione sentimentale con il Paese.

Perché forse bisognerà anche cominciare ad analizzare il nostro Paese per quello che è e non per gli spot della Barilla o del Mulino Bianco: in un’Italia dove il fatturato della criminalità organizzata è pari all’80 per cento del PIL, dove l’evasione fiscale è al 120 per cento del PIL e dove solo il costo della corruzione ammonta a sessanta miliardi di Euro, perché mai ci s’immagina che l’elettorato dovrebbe auspicare ordine, disciplina fiscale, onestà e regole di comportamento?

Pensare che ci sarebbe un’Italia della “società civile” in lotta contro quella dei furbetti è stupido: l’italiano è “civile” o furbo a seconda della parte in commedia che le circostanze gli presentano come utile. Se gli conviene indignarsi s’indigna, se gli conviene tacere tace, se gli conviene la corruzione si fa comprare senza tremare. Berlusconi lo sa e offre denaro sotto forma di rimborsi, offre denaro sotto forma di allentamento della pressione fiscale e giustificazione dell’evasione, propone un modello di vita che ha nel disprezzo delle regole il suo cuore pulsante e indica negli organismi di controllo il male per i controllati, che genialmente identifica con il paese intero.

Insomma ripropone con maggiore grandezza quanto Lauro faceva a Napoli: compra i voti. Ma mentre Lauro usava le scarpe e la pasta, Berlusconi usa mezzi più sofisticati e non paga nemmeno di tasca sua. Quei voti li compra prima dagli elettori (e vanno sul nostro bilancio) e poi in Parlamento; un’unica spirale corruttiva verso la quale larga parte del popolo italiano prova tutt’altro che sdegno, anzi. Basta vedere il voto in Lombardia, spesso autodefinitasi “capitale morale”: ma dove?

Nelle ore successive alla disfatta elettorale del PD, appena mitigata dalla maggioranza assoluta alla Camera in virtù dell’infame Porcellum, sono diverse le ipotesi che si affacciano. Le peggiori sono quelle che indicano in Bersani il responsabile della sconfitta e che ritengono che se il candidato fosse stato Renzi sarebbe stata vittoria. I flussi elettorali dicono il contrario. Proprio il saccheggio di Grillo conferma quanto Bersani fosse l’espressione di un centrosinistra troppo moderato e privo di vision, intento solo a proporre aggiustamenti di rotta, non una rotta diversa. Se al posto di Bersani ci fosse stato Renzi, il PD sarebbe ancora più indietro di dove è arrivato.

A Bersani si possono però certamente assegnare colpe gravissime sulla modalità di conduzione della campagna elettorale sia nelle forme (saporifere e spesso incomprensibili) sia nei contenuti (difficile vederci elementi di decisa inversione di rotta rispetto al governo precedente). In questo senso il pellegrinaggio in Germania di Bersani è risultato emblematico per la continuità delle politiche di bilancio improntate sul rigore e timide o addirittura inutili sul versante della crescita.

La ripetuta rassicurazione sulla disponibilità a co-governare con Monti è stata la dimostrazione di come davvero il PD non riesce a leggere la società italiana e il suo malessere, di come davvero ha perduto ormai ogni cognizione identitaria con il disagio sociale e si trastulla discettando di finanza, mercati e spread senza pensare minimamente alle vittime di una crisi che si vedono ulteriormente colpiti dalle ricette vessatorie e dannose per la ripresa di cui Monti è stato il fedele applicatore. E non può quindi che destare allegria la misera fine dei sogni del proconsole della Germania, come l’ha apostrofato il Premio Nobel per l’economia Paul Krugman.

La malattia del PD si chiama moderatismo; è figlia di una costruzione partitaria sbagliata e priva di contenuti che è sempre più percepita come una aggregazione di casta; di una lettura della società italiana e dei suoi flussi elettorali vecchia di anni; di una coazione a ripetere gli stessi errori di analisi del quadro sociale e culturale del paese, del suo humus profondo e della sua difficoltà ormai strutturale a interloquire con una politica priva di ogni senso identitario e comunitario; di una errata valutazione del mercato dell’offerta politica che li spinge a formulare proposte che sono lontane da quelle attese e percepite come giuste, necessarie, distintive rispetto allo schieramento opposto. La sensazione netta è che la miscela di due passati non crea un futuro.

Lo scenario che si prospetta per il PD non lascia molte strade percorribili: un accordo su un’agenda di governo con Grillo. Qualunque opzione di accordo con Berlusconi sarebbe folle, indecente, insostenibile, indigeribile. Farebbe sprofondare il partito al di sotto delle due cifre e porterebbe Grillo al 40% dei voti. Quello che va intrapreso, invece, è un ragionamento sereno sullo scenario che si ha di fronte, che tra scadenze istituzionali e Costituzionali non lascia spazio per ipotesi di ritorno alle urne entro due mesi.

Dunque il PD può, deve, presentarsi a Grillo con alcune proposte di governo che siano condivise dal M5S e praticabili nel breve e medio periodo. A cominciare dalla legge sul conflitto d’interessi e la riforma elettorale, dalla riduzione del numero dei parlamentari e dei loro emolumenti e da altri risparmi di natura “etica” prima ancora che finanziaria, come la riduzione del 50% della flotta pubblica di autoblu e dei mega-stipendi ai manager pubblici.

Sul piano delle politiche attive per il lavoro, va dato il via al salario sociale come proposto da Grillo (lo SMIC francese, né più né meno) e ad un sostegno pubblico alla green economy, così come la riaffermazione del carattere pubblico e universalistico dei beni e servizi sociali; sul fisco va data un’inversione di marcia attraverso l’introduzione di una patrimoniale e di una riduzione della pressione fiscale per i meno abbienti.

I risparmi immediati possono arrivare dallo stop all’acquisto dei caccia F35 e dal progressivo ritiro delle missioni militari all’estero. Quindi un blocco dei fondi previsti per il Ponte sullo stretto e la TAV e immediata riconversione di quei fondi in un piano operativo di riassetto idrogeologico dell’Italia, nel quale le imprese costruttrici possono partecipare riconvertendo così lavoro e capitali sottratti alle mega opere inutili e dannose come Tav e Ponte. Un’Italia dove qualunque pioggia diventa un cataclisma ha bisogno di essere messa in sicurezza con un grande progetto di opere pubbliche a difesa dei suoli, non di mega strutture inutili, dannose e pericolose.

Sono solo una parte delle iniziative che si potrebbero prendere per migliorare il quadro deprimente del Paese, ma sono voci di un’agenda che recepiscono alcuni dei punti salienti del programma dei grillini e non sono in contrapposizione con quello di PD e SEL. Grillo, che giustamente dal suo punto di vista rifiuta inciuci d’ogni tipo, non potrebbe sottrarsi dal governo (come non lo ha fatto nelle giunte locali) ove il programma fosse coerente con quanto proposto in campagna elettorale e sa benissimo che un suo rifiuto a permettere la formazione di un governo con questi obiettivi provocherebbe un fenomeno di rigetto tra la parte meno sprovveduta del suo elettorato.

L’arrivo del Movimento 5 Stelle porta comunque una ventata di novità e la sua dimensione, frettolosamente definita come “antipolitica”, è già di per sé una proposta politica. Coglierne gli aspetti praticabili (che sono molti) e ricostruire il fronte progressista sulla base di un nuova politica fatta di giustizia e prospettive di cambiamento è l’unico modo per non affondare nella palude dove, sinistramente, tra i partiti e gli elettori non è chiaro quale siano gli animali più pericolosi.

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