di Fabrizio Casari

Pare colta da improvvisa eccitazione la campagna elettorale italiana. C’é il candidato Monti, che non è candidabile e che mira solo a non far vincere gli altri; poi il candidato Berlusconi, che finge di non esserlo e punta solo al (suo) condono tombale. Adesso c’è anche il candidato Bersani che si batte per vincere ma che sembra aver paura di governare. Insomma, tra chi è candidato senza poterlo essere, chi lo è senza confessarlo e chi vuole vincere ma senza incassare, questa campagna elettorale è l’emblema di quel gigantesco equivoco che si chiama, ostinatamente e quasi a rischio di querela, politica italiana.

La destra, in loden o col borsalino, si agita molto. Monti si candida a tutto o quasi: alla guida del suo raggruppamento, ma contemporaneamente ad allearsi con la destra senza Berlusconi e, perché no, con la sinistra senza Vendola. Disturbo della personalità evidente: pensava di essere quello che tutti chiamano e poi ha scoperto essere colui che nessuno vuole.

Berlusconi, invece, ha chiarito qual’era il “quid” che mancava al segretario Alfano: la proprietà del partito. Ha due risultati su tre a disposizione: vincere o, comunque, cercare di perdere con minor margine possibile per continuare a ricattare il paese a vantaggio suo e delle sue aziende.

Per Bersani il discorso è diverso: i sondaggi che mutano negativamente, sembrano subire l’influenza di una campagna elettorale priva di grinta e di polemica politica. Sembra confondere la serietà e la credibilità con l’assenza di qualunque innovazione; tutto compostezza e niente entusiasmo, ritiene che sia opportuno dichiarare che, anche vincendo, si regolerà come se non fosse successo, affermando che anche ove ottenesse il 51%, si muoverà come se avesse ottenuto il 49. Significa, né più né meno, dire che si vorrebbe vincere ma non governare.

Un caso privo di precedenti, l’unico nel quale chi ottiene la maggioranza assoluta dichiara che prenderà solo quella relativa. Retaggio di vecchie tesi sul compromesso storico, sembra non tener conto che il centro dei moderati ce l’ha già in casa. O si ritengono i Tabacci e i Fioroni dei giacobini, o dei pretoriani della laicità dello Stato?

Se i sondaggi dicono il vero, quello di Bersani sta diventando un tipico esempio di come tentare di perdere le elezioni che si potevano solo vincere. Ogni qualvolta che nomina Monti come interlocutore immediato del dopo voto, il PD perde qualche migliaio di voti. La domanda è netta e senza possibilità di risposta multipla: Bersani ha capito quale sia la differenza di opinioni e aspirazioni tra chi vota PD-SEL e chi vota Lista Civica di Monti? Ritiene che la ragioneria sia più forte della politica? Che il voto popolo della sinistra sia acquisito quale che sia la campagna elettorale? Sarebbe un errore madornale.

La comunicazione, particolarmente in campagna elettorale, non è un accessorio secondario. Proprio Berlusconi ha insegnato quanto valore abbia nello spostare milioni di voti. La campagna elettorale non è solo una competizione tra due programmi diversi; è anche il momento nel quale l’evocazione di un sogno, l’emozione di una battaglia, serve a far identificare milioni di elettori con un programma, con un simbolo persino, costruendo una relazione inscindibile con l’aspirazione ad un futuro diverso. O davvero si crede che invece che di giustizia sociale, equità e diritti civili i sogni raccontino del riordino dei conti?

A detta dei soliti fini strateghi della politica, Bersani cercherebbe di rassicurare i mercati con il timore che questi possano attivarsi in un attacco speculativo sui nostri titoli di Stato che indurrebbe così gli elettori a ritenere che solo la presenza di Monti ci mette al riparo. Dunque, volendo evitare che il premier sia considerato l’unico elemento di garanzia per i risparmiatori e le imprese, cerca di cooptarlo nell’Italia post-berlusconiana, ipotizzando una sorta di Grande coalizione tra il centro e il centrosinistra.

Peccato però che l’obiettivo si riveli un boomerang: perché proprio questa linea assegna a Monti una centralità che diversamente non avrebbe, e perché dal momento che l’unica utilità di Monti è quella di togliere voti a Berlusconi, insinuando la futura alleanza con il professore si ottiene il risultato di regalare un formidabile strumento di propaganda a Berlusconi, che sa ricompattare la destra. Nello stesso tempo, si rischia anche di irritare l’elettorato di sinistra che avverte l’inciucio e può spostare così i suoi voti da Vendola verso Ingroia o Grillo.

Che Bersani voglia governare con Monti non è ovviamente vero, non del tutto almeno. Bersani ha certamente in programma una ricetta decisamente diversa da quella del presuntuoso professore bocconiano e ritiene Monti necessario sia per l’interlocuzione con l’Europa dei poteri forti che per le riforme istituzionali, temi che l’agenda politica del prossimo governo dovrà affrontare alla pari del risanamento dei conti pubblici e del rilancio dell’economia del Paese. Ma illudersi che l’appoggio del centro sulle riforme istituzionali e su alcune leggi (conflitto d’interessi al primo posto) sia gratuito, è una grossa ingenuità.

Se invece, come sicuramente è, si è consapevoli che Monti sia tutto meno che un uomo di parola ed affidabile, sarebbe ora di smetterla, per i prossimi 15 giorni di campagna elettorale di evocarlo ad ogni piè sospinto. Sarà bene che Bersani capisca in fretta una cosa: Monti è letteralmente detestato dalla maggior parte degli italiani, oggi più di ieri. Tentare un abbraccio può risultare davvero fatale.

Bene fa quindi Nichi Vendola a porre un argine e a ricordargli che il programma comune non prevede l’applicazione delle politiche neoliberiste delle quali il professore è noioso interprete. E risulta specioso stabilire se Vendola alza il tiro per ritrovare spazio dentro la coalizione; fa bene a ricordarlo comunque. Diversi esponenti del PD, da Fassina a D’Alema, persino Boccia, ricordano ora la centralità di Vendola nella coalizione e lo stesso Bersani ripete che l’alleanza con SEL non si tocca. Sarà, ma nemmeno la si può svuotare giorno dopo giorno con i continui ammiccamenti al professore. Dal momento che proprio il professore e Vendola si ribadiscono la reciproca incompatibilità, Bersani la smetta di proporre unioni contro natura e contro logica politica.

E a proposito di chi dovrebbe cambiare registro nella comunicazione politica, ci rivolgiamo a Ingroia. Le esigenze di visibilità del pm fanno sì che il centrosinistra sia l’unico suo obiettivo polemico. Trovare un attacco alla destra nelle parole di Ingroia è semplice come trovare un operaio candidato con Monti. Ma il giorno dopo il voto lui uscirà di scena e torneranno i partiti che lo sostengono, esattamente come avverrà con la lista Monti; dunque si goda il momento di celebrità e provi a dare il suo contributo alla sconfitta della destra, se ne è capace.

I suoi deliri forcaioli, come già gli hanno ricordato i migliori esponenti di Magistratura Democratica, non appartengono alla storia della cultura di sinistra; non basta recitare il ruolo di cavallo di Troia di Ferrero e Di Pietro (segue l’intendenza, cioè Diliberto) a colorare di rosso il grigio scuro. L’autonominatosi “partigiano della Costituzione” provi a leggerla e magari sfogli anche Cesare Beccaria, che di Diritto ne sapeva qualcosa più di lui. Un ideale di società con le sbarre alle finestre lo lasci ai residui della reazione, che non mancano purtroppo.

Alla sua lista toccherebbero invece i temi dell’antiliberismo, di una politica estera di pace, di una riconversione ecologica del tessuto produttivo, dei diritti civili, dell’ammodernamento dello stato sociale, della difesa della scuola pubblica e della dignità del lavoro. Sarebbe questo un buon modo per legittimare una scommessa politica altrimenti identificabile solo come pura operazione autoreferenziale e politicista, di pura sopravvivenza di ceto politico.

Il rischio di una sconfitta, del permanere di una maggioranza di destra e di un Parlamento a maggioranza berlusconiana che dovrà eleggere anche il nuovo Capo dello Stato, lo ricordi tutto il centrosinistra, è responsabilità di tutti. Nessuno può permettersi di far perdere tutti noi nell’illusione di far vincere lui.



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