di Antonio Rei

Tutto è cominciato con una violazione a cui nessuno ha dato peso: la nomina a senatore a vita. Senza quell'incarico piovuto dal cielo oltre un anno fa, ieri Mario Monti non avrebbe potuto giocare a nascondino con il Parlamento e i partiti. Tutti si aspettavano che nella conferenza stampa di fine anno il Premier dimissionario facesse chiarezza su come intende gestire il suo futuro politico.

E la risposta è stata un capolavoro d'opportunismo: il suo nome non comparirà su alcuna lista, ma il Professore si è detto disponibile a guidare un altro Esecutivo, a patto che la nuova maggioranza condivida la sua beneamata Agenda. Insomma, Monti vuole tornare a Palazzo Chigi senza passare per il fastidioso ostacolo delle elezioni. Vuole essere investito della carica per acclamazione.

Ora, nominare per la seconda volta a capo del governo una persona che non ha avuto il coraggio di presentarsi alle elezioni non vuol dire forse svuotare di significato il voto degli italiani, o quantomeno umiliarlo? A quanto pare no. Monti si difende da questa accusa sempre allo stesso modo: "Non ho bisogno di candidarmi perché sono senatore a vita". Dunque il posto in Parlamento gli è garantito di qui al giorno del trapasso.

Sorvoliamo sull'ignoranza o la malafede di chi sostiene che ai senatori a vita non sia concesso di correre per le elezioni politiche (è semplicemente falso). Torniamo invece a quella nomina, il vero peccato originale. L'anno scorso, prima di accettare l'incarico e formare il suo governo tecnico, Monti pretese che il Capo dello Stato gli concedesse uno dei massimi onori previsti nel nostro ordinamento repubblicano. L'articolo 59 della Costituzione recita così: "È senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica. Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario".

Com'è evidente, la nomina di Monti fu più che una forzatura. Ad oggi, tanto per fare un esempio, ne avrebbe maggior diritto Fabiola Gianotti, la fisica italiana che ha guidato uno degli esperimenti che hanno portato alla scoperta del bosone di Higgs. Quello che si dice un "merito altissimo", che però fin qui le è valso solo il quinto posto nella classifica stilata dal Time sulle persone dell'anno.

Nel novembre 2011, invece, Monti divenne senatore a vita non tanto per aver "illustrato la Patria" in qualità di professore d'economia e commissario europeo, ma in vista del successivo sbarco a Palazzo Chigi e quindi, inevitabilmente, in politica. Solo oggi tuttavia siamo in grado di capire il reale valore di quella carica, un vero e proprio salvacondotto attraverso le regole della democrazia.

Il Professore ha così schivato il pericolo delle urne, che molto probabilmente gli avrebbero riservato un risultato assai misero. Ma dopo tutto questo, riuscirà davvero a bissare il mandato da presidente del Consiglio? E' una domanda che turba i sonni del candidato favorito a Palazzo Chigi, Pier Luigi Bersani. Ieri il leader del Pd ha ricevuto da Monti il placet definitivo ("è più che credibile", ha detto il Professore) e al tempo stesso ha garantito che ascolterà ogni proposta in arrivo (Agenda compresa), ma ora "la parola deve tornare agli elettori". Frasi di rito che non sbrogliano il groviglio inestricabile delle alleanze.

Le certezze al momento sono davvero poche. Quello che resta del Pdl sembra inevitabilmente fuori dai giochi, soprattutto dopo le frecciate scagliate dal premier dimissionario contro Silvio Berlusconi e Angelino Alfano, il segretario (per modo di dire ), del PDL è stato netto: “Dopo le parole di oggi, con Mario Monti è preclusa ogni ipotesi di collaborazione”). Il vero problema è nell'altro schieramento. Se davvero pensa di dialogare con l'Udc e la pletora di listine montiane spuntate come funghi al centro, il Partito Democratico dovrà necessariamente rinnegare l'alleanza annunciata con Sel.

C'é da augurarsi che ciò non avvenga. Una sterzata da sinistra a destra causerebbe quasi certamente la spaccatura più grave mai vista all'interno di un partito in cui le diverse componenti non si sono mai amalgamate del tutto (ex-dc, ex-comunisti, liberal, ex-socialisti, ecc.). La leadership di Bersani si annuncia quindi difficilissima e la sua probabile maggioranza quanto mai precaria. In compenso, ormai sappiamo chi sarà il suo successore. 

 

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