di Fabrizio Casari

Sembra che siano tutti con il fiato sospeso in attesa che il professor Monti, premier per ancora qualche settimana, decida quale sarà il suo futuro. Il professore accarezza l’idea di rimanere a Palazzo Chigi più di qualunque altra prospettiva d’incarico, ma i sondaggi non confortano ambizioni e aspirazioni, mentre la sola scelta di mantenersi le mani libere gli ha già fatto perdere l’appoggio del suo sponsor istituzionale più importante, il presidente Napolitano.

Monti deciderà quale strada gli converrà percorrere sulla base delle richieste alle quali non potrà rifiutarsi di aderire. Le pressioni che gli piovono addosso dall’estero dicono molto su quali siano interlocutori e referenti del professore, mentre quelle che arrivano dall’interno indicano più che altro la disperazione politica nella quale versa la destra italiana.

La monocorde eurocrazia a guida tedesca, preoccupata di un eventuale arrivo della politica alla guida dell’Italia, ricorda a mo’ di minaccia il “contributo di Monti al risanamento dell’Italia”. Il fatto che il debito pubblico sia aumentato, che lo spread tra i titoli italiani e tedeschi sia rimasto altissimo e che l’economia del paese sia in piena recessione non riducono affatto, dal loro punto di vista, i meriti del professore. Anzi, le sue politiche ultraliberiste, che stroncano la ripresa italiana, sono utili proprio al rafforzamento della guidance tedesca sull’intero continente. In fondo, grazie a Monti le banche internazionali dispongono di un controllo totale sull’economia e sul sistema paese; insieme alla Grecia, oggi, l’Italia è la nazione europea che ha nelle vesti di Primo Ministro un fidato funzionario dei poteri forti, nazionali e stranieri.

Chiaro che un mandato elettorale che riportasse al governo la politica - e magari una politica riformatrice - metterebbe in discussione la funzione supina del Paese verso i centri della speculazione finanziaria. I quali dapprima hanno causato la crisi e poi, grazie appunto ai loro funzionari, sono riusciti non solo a non pagarla ma addirittura a lucrarci ulteriormente guadagnandoci due volte: la prima con le operazioni folli sui derivati, la seconda accollando sui bilanci pubblici le perdite dei loro azionisti. Qui si collocano le ragioni di tante pressioni: nel timore che un nuovo governo, pur mantenendo sotto controllo le politiche di spesa, acquisisca una diversa politica economica in Europa e fuori che potrebbe mettere in discussione la guidance tedesca del continente.

Ove Monti decidesse per sua tranquillità personale di non voler scendere in campo, riservandosi il ruolo di “tecnico” a disposizione del Paese, sa perfettamente che perderebbe la fiducia dei poteri forti europei, che fin qui gli è servita in tutta la sua carriera politica. Allo stesso tempo è però consapevole di quanto il sacrificio che gli viene chiesto sia duro: pensare di rispettare i patti scellerati che prima Berlusconi e poi lui hanno firmato con l’Europa dei banchieri significa governare un paese che rischia la definitiva disgregazione sociale. Uno per tutti, l’impegno al pareggio di bilancio nel 2013, già improponibile in condizioni di crescita, é del tutto impossibile in una fase recessiva che anche per il 2003 prevede un meno 1,5 di PIL. L’idea di partenza era quella di scaricare su chi lo avrebbe seguito i costi della sua devozione alla Merkel, non di assumerli su di sé in prima persona.

Nel frattempo, tocca ai suoi fidati cominciare a muovere pedine per vedere quali potrebbero essere le mosse per una lista Monti, sia essa con il premier espressamente candidato, sia come ispiratore dall’esterno. La sostanza cambierebbe poco, dunque quello che sembra chiaro è come la mossa di Riccardi ed altri sia un sondaggio esplorativo su incarico del professore per cercare di vedere nel concreto i margini di manovra possibili e gli spazi di una sua lista.

Un panorama diverso, ma non più nobile, è quello all’interno della destra italiana, dove anche solo allungando lo sguardo si nota lo stato di decomposizione permanente e la dispersione in mille rivoli del suo ceto politico, oltre che del suo blocco sociale. Il tentativo da parte di Berlusconi d’ingaggiare Monti nasce dalla consapevolezza di un’impossibile ritorno di fiamma degli italiani per le sue promesse.

Una destra ormai affatto credibile ha bisogno proprio della credibilità del professore per mettersi al riparo dalla memoria degli italiani, che ben ricorderanno venti anni di governo che hanno alimentato solo prostitute e faccendieri, rubagalline e corrotti di ogni risma senza che nemmeno una delle sue annunciate riforme per liberalizzare il paese sia stata realizzata. L'ultima trovata l'ha lanciata ieri da Vespa, quando ha proposto di rinviare il voto di due settimane, per evitare "fretta eccessiva".

Non si era mai sentito nella storia della Repubblica l'accomodamento delle elezioni ai tempi di uno dei candidati ed è un'ulteriore segno di difficoltà dovuto alle mosse e contromosse che agitano la partita tra Berlusconi e Monti. Il primo ha voluto lanciare un ultimatum e il professore lo lascia sospeso, costringendolo a cambiare versione almeno quattro volte al giorno sul cosa fare, con chi e con che sigla.

Il bilancio penoso del ventennio di governo della destra rende impossibile pensare di ripresentarsi agli italiani come se nulla fosse successo ma, allo stesso tempo, la rottura al suo interno e la debolezza al suo esterno la proiettano verso la debacle elettorale e spianano la strada alla vittoria del centrosinistra.

E’ qui, su quest’ultimo aspetto, che le pressioni internazionali e quelle interne s’incontrano; nel tentativo d’impedire che il centrosinistra conquisti il governo del paese, a maggior ragione dopo non essere stati in grado di modificare la legge elettorale. Con il porcellum, il partito di maggioranza relativa ottiene quella assoluta e, in questo modo, disporrà del margine numerico e politico per poter governare e riformare il paese senza nemmeno dover ricorrere al sostegno del centro.

Non a caso Bersani, nel colloquio di ieri con il Premier, ha avvertito che ove Monti scendesse direttamente nell’arena elettorale, “lo sconto sarebbe inevitabile”. Il PD, che ha dato oltre ogni immaginazione il suo sostegno al governo dei cosiddetti “tecnici”, si troverebbe però nella condizione di dover marcare una presa di distanza più netta da Monti e dalle sue inefficienze e proporre un’agenda di governo molto diversa da quella sulla quale il professore chiamerebbe al voto. Non tanto sull’operato del governo Monti, quanto sulle diverse ricette per accompagnare la ripresa economica e impedire la disgregazione sociale.

Che poi il centrosinistra abbia lo spessore necessario per modificare le linee guida economiche, anche volendo mantenere i saldi invariati del bilancio, è tutta un’altra storia. Ma è sufficiente il timore di vedere Bersani e Vendola varcare il portone di Palazzo Chigi a scatenare paure ed esercitare pressioni. Tanto per avere un’idea degli interessi che sono in ballo.

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