di Antonio Rei

L'agenda Monti dimostra ogni giorno di più la sua logica fallimentare, ma secondo il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non potrà essere archiviata nemmeno dopo le elezioni politiche di aprile. Fra i vari "moniti scagliati" negli ultimi mesi dal Quirinale, quello arrivato la settimana scorsa su espressa richiesta del Premier non ha destato particolare clamore.

Eppure si è trattato di un violazione grave del ruolo che la nostra Costituzione assegna al Capo dello Stato. "Mi auguro non manchi il senso di responsabilità nell'Italia post elettorale - ha detto Napolitano durante una visita in Olanda - il resto però dipenderà dai partiti. In Italia, com'è inevitabile e salutare, si dovrà tener conto dell'importantissima esperienza portata avanti nell'ultimo anno dal governo Monti".

Con queste parole il Presidente ha alimentato una convinzione sbagliata ma assai diffusa: quella che vede nei tecnici dell'attuale esecutivo una sorta d'intellighenzia illuminata, guidata dal lume della competenza e del tutto libera da condizionamenti politici. Secondo i profeti del montismo, gli euroburocrati senza partito hanno ragione a prescindere dai risultati che ottengono. La loro strada va seguita con un abbandono quasi mistico, "com'è inevitabile e salutare".

Una posizione da respingere con forza per due ragioni macroscopiche. La prima è che il governo Monti non è affatto apolitico. A inizio mandato fu lo stesso Presidente del Consiglio a rivendicare la continuità con l'esecutivo del suo predecessore, Silvio Berlusconi, nell'ispirazione politico-economica. Certo, il Pdl è ancora il partito più rappresentato in Parlamento, e questo ha inciso nello snaturare provvedimenti nati con intenzioni migliori (l'ultimo esempio è la ridicola legge anticorruzione approvata dal Senato). Tuttavia, in nessuna circostanza il Professore ha smentito il suo orientamento destrorso: dalla politica fiscale a quella sul lavoro, passando per i rapporti con banche, industriali e sindacati.

Ecco perché l'appello di Napolitano va oltre i limiti che la Costituzione impone alla sua carica. All'articolo 87 della Carta si legge che "il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale". Può inviare messaggi alle Camere, ma deve rimanere super partes: non gli è consentita alcuna intromissione nella scelta dell'indirizzo politico. Questa funzione spetta in primo luogo al governo, liberamente eletto dai cittadini. E gli elettori potrebbero benissimo ritenere che l'agenda Monti non sia affatto da portare avanti. La seconda ragione attiene a quello che i tecnici hanno effettivamente prodotto in quasi un anno di mandato. Ossia un disastro completo, da ogni punto vista: sociale, economico e persino della finanza pubblica.

La debacle più clamorosa è stata senz'altro quella del ministro del Lavoro, Elsa Fornero. Con la riforma della previdenza, la Professoressa torinese ha cancellato i diritti acquisiti da milioni di persone, cambiando in corsa le regole per ottenere la pensione. Così facendo ha creato addirittura una nuova categoria sociale, quella degli esodati, lavoratori che rischiano di ritrovarsi senza stipendio né assegno previdenziale. Nemmeno il numero delle persone coinvolte nel provvedimento è stato in grado di produrre il suo dicastero. Una mostruosità dovuta solo a negligenza, al pressappochismo e a una buona dose di ferocia sociale con cui è stata scritta la legge.

Quanto alla riforma de lavoro, l'obbrobrio più noto è la modifica all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che consente di non reintegrare le persone licenziate ingiustamente per motivi economici o disciplinari. Ora le imprese, nella maggior parte dei casi, se la cavano con un semplice indennizzo. Varie misure anche per i giovani, peccato che nessuna combatta seriamente il dramma del precariato (si pensi al geniale aumento dei giorni da lasciar passare fra un contratto e l'altro). A riprova dell’inutilità del provvedimento, nessun incremento dell’occupazione ha fatto seguito alla modifica dell’art.18. Che, va precisato, non era stato mai posto dalle imprese come primo terreno d’intervento per la ripresa dell’occupazione.

Precari umiliati e offesi anche nel mondo della scuola. La spending review  prevede di riutilizzare "in ambito provinciale" 10 mila insegnanti in esubero, che saranno impiegati per coprire posti vacanti e supplenze, ma in classi di concorso diverse dalla propria. Un'altra misura prevede l'impiego come lavoratori Ata (personale amministrativo, tecnico e ausiliario) di 3.765 docenti "inidonei all'insegnamento" per motivi di salute. Infine, è stato bandito un concorsone-truffa che rischia di far perdere il posto a lavoratori abilitati e già vincitori di un concorso passato. Insegnanti che spesso hanno retto la nostra scuola per decenni.

E i tagli ai costi della politica? Su questo capitolo il governo si è speso in tante promesse, salvo poi disattenderle. Quasi irridente la riduzione delle auto blu, peraltro non rispettata dalle amministrazioni. Caduti ovviamente nel dimenticatoio i propositi di ridurre numero e stipendio dei parlamentari.

Sembrerà strano a chi s'illude di fare sacrifici in vista di un bene superiore, ma da quando il Professore è entrato a Palazzo Chigi anche i conti dello Stato sono peggiorati.

Gli ultimi dati parlano chiaro. Eurostat ha comunicato che nel secondo trimestre del 2012 il debito pubblico italiano è schizzato al 126,1% del Pil (+4,4% su base annua). Fra gennaio e marzo aveva già raggiunto il picco del 123,7%. In termini assoluti il nostro debito è ancora il più alto d'Europa (un miliardo e 982 milioni, circa 72 milioni in più rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso), mentre in rapporto al Pil è secondo solo a quello della Grecia (al 150,3%).

A fine settembre, nell'ultima nota d'aggiornamento al Def (Documento di economia e finanza), il governo ha rivisto in peggio tutte le sue stime: nel 2012 il debito salirà al 126,4% (123,4% nei calcoli di aprile), per arrivare poi al 127,1% nel 2013 e iniziare a scendere dall'anno successivo.

Quanto al rapporto deficit/Pil, sarà del 2,6% quest'anno (contro l’1,7% previsto) e dell’1,8% nel 2013 (ma solo ad aprile si parlava dello 0,5%). Con tanti saluti al fantomatico "pareggio di bilancio", a meno di non parlare in termini strutturali, ossia al netto del ciclo economico. E' questa la nuova modalità di valutazione introdotta dal Fiscal Compact europeo: una correzione per nulla chiara, volutamente ambigua a livello tecnico. L'unica certezza è che, nei fatti, il nostro bilancio non sarà per nulla in pareggio.

Sempre secondo il Def, il Pil viaggerà in recessione del 2,4% nel 2012 e dello 0,2% nel 2013 (le precedenti stime indicavano rispettivamente di -1,2% e +0,5%). Ancora più pessimista la Banca d'Italia, che nell'ultimo bollettino economico parla di un -0,7% per l'anno prossimo.

Veniamo ora alle reali condizioni di vita degli italiani. Stando ai dati Istat, il mese scorso le retribuzioni sono aumentate dell'1,4% su base annua. Un incremento molto inferiore a quello dell'inflazione (+3,2%), che ha portato la forbice prezzi-salari fino all'1,8%, con inevitabili ripercussioni negative sui consumi.

Ad agosto il tasso di disoccupazione è rimasto stabile per il terzo mese consecutivo al 10,7%, il dato più alto dal 2004, anno d'inizio delle serie storiche mensili Istat. Rispetto allo stesso mese del 2011, invece, si è registrato un aumento del 2,3%. Intanto, la produzione industriale è calata del 5,2% su base annua (dopo il -7,3% di luglio), mentre nella media dei primi otto mesi del 2012 il crollo è stato del 6,8%.

Di fronte a numeri simili, è ragionevole parlare del montismo come di un'esperienza positiva? E' davvero questa la scelta migliore, e anzi l'unica possibile anche per la prossima legislatura? Certo che no. Il sospetto è che del nostro debito pubblico non importi nulla a nessuno, men che meno all'Europa, il cui obiettivo è semplicemente ottenere il controllo politico dei singoli Stati. E fin qui l'unico beneficio portato da Monti all'Italia è stato proprio sul piano dei rapporti internazionali. Un risultato ottenuto più per appartenenza che per merito: in sostituzione dell'euro-giullare Berlusconi, i tecnocrati di Bruxelles hanno visto arrivare un uomo dalla lunga esperienza in Commissione europea, alla quale deve praticamente tutta la sua carriera. Uno di loro, insomma. Uno disposto ad obbedire senza fare domande.

 

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