di Agnese Licata

Anche in un quadro politico devastato e imprevedibile come quello italiano, ogni elezione porta con sé la speranza di un cambiamento. E forse mai come in questo momento, la voglia di voltare pagina è forte. Spinta, da un lato, da una crisi economica che le varie politiche europee, nazionali e locali non hanno neanche intaccato, e, dall’altro, dagli innumerevoli scandali e colpi di mano che vedono protagonisti i partiti italiani.

Nel giorno in cui la Sicilia va al voto, guardata dal resto d’Italia con un mix di attenzione, curiosità e timore, l’elettore siciliano, anche se tendenzialmente pessimista e confuso (soprattutto se di centrodestra), incrocia le dita e spera che questa volta, la politica isolana inverta davvero la rotta. Il cartellone delle liste è a dir poco corposo, le alternative non mancano. Almeno apparentemente. Dieci i candidati a Presidente, 20 le liste e più di 1.600 gli aspiranti deputati all’Assemblea. Destra, centro, sinistra, alternativi, berlusconiani, antiberlusconiani e chi più ne ha, più ne metta.

In questi giorni, inevitabilmente, le cassette delle lettere dei siciliani hanno visto un via vai di buste, inviti e proclami firmati dai vari candidati. Molte finiscono dritte dritte nel cestino della carta. Ma se si ha lo stomaco di buttar giù la retorica a chili che le caratterizza, si scopre quanto siano simili. A prevalere è l’assoluta mancanza di un vero programma di governo, di manifestazioni d’intento concrete sui tanti problemi che pesano sull’Isola. Prevalgono invece frasi del tipo: “Dobbiamo far valere i diritti e gli interessi dei siciliani, troppo spesso inascoltati a Roma e in Europa”.

La strategia è quella di sempre: non esporsi troppo, trovare i soliti nemici “esterni” e tenersi così le mani libere in vista del post-elezioni quando toccherà fare accordi e alleanze. Perché nella grande indecisione di questo voto, c’è una sola (quasi)certezza: dalle urne difficilmente uscirà una vera maggioranza. E così, sotterraneamente, nell’ultima settimana, i partiti hanno preparato il terreno per futuri “inciuci”, fotocopia del passato prossimo.

Innanzitutto, ci sono le voci di un patto Cro-chè, dai nomi dei due candidati Rosario Crocetta (leader di una coalizione Pd-Udc) e Gianfranco Miccichè (Grande Sud, ex Pdl, appoggiato dall’ex governatore Raffaele Lombardo). Tutti gli interessati, a microfono e taccuini hanno smentito, ma in sostanza, ci sarebbe l’intenzione per Miccichè di far confluire i voti verso Crocetta attraverso il voto disgiunto per danneggiare l’odiato Nello Musumeci, candidato del Popolo delle libertà e uomo su cui il segretario Angelino Alfano ha puntato tutto. Per mettersi poi al sicuro dall’exploit preannunciato del Movimento 5 stelle, è già cominciato il corteggiamento dei partiti ai grillini. Sia Musumeci sia Crocetta, hanno fatto capire di essere disposti a venire a patti con il Movimento, una volta entrati a Palazzo d’Orleans.

C’è poi un aspetto su cui sarebbe interessante capire le intenzioni di tutti i candidati, grillini compresi. Uno di quei nodi che nessun politico siciliano ha mai avuto davvero il coraggio di affrontare ma che è cruciale: lo spreco di denaro pubblico da parte di comuni, province e Regione. Uno spreco che alla base ha favoritismi, compravendita di voti, interessi personali… insomma, tutto tranne il bene comune. La Regione viaggia verso i 6 miliardi di euro di debito e se nonostante questo non è ancora stata commissariata è solo per alcuni giochetti sul bilancio che hanno inserito tra i crediti voci irriscuotibili (come il pagamento di alcuni finanziamenti europei contestati dalla stessa Ue perché utilizzati in modo irregolare). Intanto i deputati dell’ARS continuano a prendere uno stipendio da 12-13mila euro al mese.

I Comuni non sono messi meglio. Una settimana fa, i sindaci di alcune amministrazioni siciliane hanno consegnato in prefettura le fasce tricolori minacciando di non organizzare i seggi per mancanza di soldi in cassa. Le tre principali città dell’Isola sono a rischio fallimento. Palermo ha oltre 600 milioni di debito, più due municipalizzate-buchi neri che negli anni sono servite a garantire più che servizi efficienti, un sicuro bacino di voti ai vari sindaci.

I conti di Catania sono sotto la lente della magistratura e della Corte dei Conti. Nel giro di vent’anni di cattiva amministrazione e clientelarismo, si è arrivati a un miliardo di deficit.

Poi, c’è Messina, commissariata dopo che il sindaco Buzzanca si è dimesso giusto per presentare la propria candidatura a queste elezioni. Alle spalle si è lasciato un Comune sull’orlo del dissesto (per colpe di numerose amministrazioni, ovviamente). Il patto di stabilità è stato sforato di oltre 60 milioni di euro l’anno scorso e quindi, il Governo ha deciso un taglio netto dei trasferimenti. Gli effetti li vedranno i cittadini, con trasporti e raccolta rifiuti a singhiozzo.

Di fronte a tutto questo, anche il candidato del Pd Crocetta continua con la solita lagnanza verso Roma che lascia la Sicilia a se stessa, senza ammettere che dietro passivi e disservizi non c’è Roma e il Governo, ma amministratori locali (di destra come di sinistra) irresponsabili e soprattutto incompetenti. L’ammissione di colpe ed errori, non va di moda, si sa.

Allora perché sorprendersi di quelle piazze riempite dal Movimento 5 stelle e di quelle vuote dei politici di professione? Ma adesso c’è il voto e all’interno della cabina elettorale, in Sicilia, tutto può succedere.

 

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