di Mariavittoria Orsolato

La snaturatissima alleanza elettorale con l’Udc di Casini è stata scongiurata. Alle prossime politiche i cattolici correranno in solitaria e solo in un secondo momento, a Camere riformate, agiranno di concerto con il partito di Bersani che, come più volte annunciato, non ha la minima intenzione di opporsi alla linea rigorista dettata dal governo Monti. Ma in questa corsa alle urne, che ormai ha i toni e i termini del calciomercato, il Pd cerca con foga dei sodali in grado di alzare l’asticella delle preferenze, perennemente sotto il 30%. Una ricerca in chiave anacronistica, che prova a raggruppare i partiti d’opposizione al fu berlusconismo e non tiene conto del fatto che l’elettorato ha già voltato pagina e pensa soprattutto a come affrontare la mannaia dell’austerità imposta dal governo “tecnico”.

Stupisce perciò - ma, a pensarci bene, non poi così tanto - che un campione della sinistra come Vendola abbia ceduto così in fretta e con tanta arrendevolezza alle lusinghe di Bersani. Poco meno di una settimana fa, infatti, l’annuncio della propria candidatura alle primarie del Pd: “È necessario costruire la coalizione del futuro per costruire un'alternativa a 30 anni di liberismo esasperato - sostiene il governatore pugliese - e per farlo serve una coalizione larga e plurale”. Peccato che il liberismo esasperato che Vendola vuole contrastare sia lo stesso che il suo nuovo alleato cerca di assecondare con l’appoggio incondizionato al governo Monti.

E così anni di battaglie sulla prassi della gauche nostrana se ne vanno a tarallucci e vino in nome di qualche seggio in più alle Camere. Perché nel balletto di accordi, alleanze e coalizioni cui il centrosinistra sta tristemente dando spettacolo, l’impressione è che i contenuti politici siano l’ultima delle preoccupazioni. La paventata alleanza con l’Udc di Casini ne è l’esempio più lampante ma anche la sconfessione dell’Idv di Di Pietro, da sempre vicino alle posizioni di Sinistra Ecologia e Libertà, dà la misura di come la sinistra istituzionale sia ormai completamente dimentica della sua ragione politica e irrimediabilmente lontana dal paese reale.

Grazie ai tweet di Paolo Ferrero, leader di Rifondazione, si è infatti avuto modo di scoprire che per il governatore pugliese, le idee anticapitaliste e antiliberiste che hanno dato i natali alla sinistra sono “idee immobili” e che il perseguirle significa “inseguire l’obiettivo di essere i migliori perdenti”. Certo, tutti sappiamo che in un sistema come quello italiano, frammentato al limite dell’esasperazione, trovare degli accordi e stringere alleanze è la base per la sopravvivenza politica. E sappiamo anche che questa è un’imperdibile occasione per il centrosinistra per proporsi alla guida del governo, dopo gli evidenti fallimenti del governo berlusconiano.

Eppure la sinistra italiana persevera diabolicamente nel suo tafazzismo e, pur di assicurarsi una vittoria praticamente scontata, arriva a capovolgere in modo orwelliano il significato primo della sua missione politica definendo “deriva populista” l’opposizione ad un regime politico-economico basato sulla mortificazione dei lavoratori, sull’annullamento del welfare e sul depauperamento sociale.

E allora cosa resta di questa sinistra? Resta la base, restano le persone. Racconta Fulvio Massa, sul sito Infoaut, che nella Grecia dei tagli indiscriminati alla sanità pubblica, l’ospedale di Kilikìs - una cittadina nei pressi di Salonicco - è riuscito ad auto-organizzarsi e, grazie a 300 dipendenti, garantisce le cure necessarie ai cittadini che, privi di un’assicurazione sanitaria, non possono permettersi il diritto alla salute. Un piccolo ma salvifico esempio di come le persone siano in grado di formare contro-istituzioni capaci di resistere democraticamente alle imposizioni liberticide dell’austerità. Di come la gente non abbia bisogno di un vessillo politico per essere incisiva.

Forse, quando all’italiano mancherà il piatto di pasta a tavola, anche nella nostra penisola sorgeranno esempi di questo tipo. Per ora ci accontentiamo del gossip estivo sulle alleanze di una sinistra che ormai non è evidentemente più degna di fregiarsi di tale nome.

 

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