di redazione

Soltanto pochi giorni fa il Paese ricordava la morte di Falcone, sua moglie e gli agenti di scorta,  nelle forme solenni di un anniversario ventennale. Trasmissioni, telegiornali, una fiction nuova di zecca su Borsellino e il maxi processo, la consueta nave della legalità salpata con tantissimi giovani a bordo. Tutto per una ferita  e una pagina di storia nazionale ancora aperta e con ancora troppe ombre addosso. Compreso l’isolamento istituzionale conclusivo in cui il giudice Borsellino iniziò a morire dal giorno dei funerali dell’amico e collega Giovanni Falcone.

Arriva, a poca distanza temporale,  una doccia fredda. Viene revocato il 41bis al boss Troia, accusato della strage di Capaci e di altri atroci omicidi. Mentre il PD, per voce dalla Finocchiaro, chiede che si faccia chiarezza sulle motivazioni, Gasparri non perde tempo e rievoca Oscar Luigi Scalfaro e la sua operazione nel biennio 1992-1993 con cui furono cancellati centinaia di 41 bis.

Una pagina nera della storia della Repubblica di cui non si conosce quasi nulla e in merito alla quale il Ministro Conso con buona probabilità ricevette indicazioni chiare da poteri forti che non hanno mai raccontato tutta la verità.

Sembra difficile accostare i due momenti storici, certo però è che la decisione di togliere l’isolamento e il carcere duro al boss e mantenere la sola alta sicurezza suona come un pugno in faccia. Il Tribunale di Roma si sarebbe limitato a rifiutare la richiesta di proroga che sarebbe sembrata priva di giusta motivazione dal momento che non ci sarebbe più il criterio della “perdurante attività mafiosa della famiglia”.

Il 41 bis non può essere basato ad oggi, questo sentenziano i giudici, sul ruolo avuto venti anni fa dal boss. In ogni caso la Procura nazionale antimafia e la Procura generale presso la Corte d’Appello potranno ricorrere. La condanna alla decisione è comunque già arrivata dalla sedi istituzionali della politica e dalla società civile.

L’idea e il sentimento è che i reati di mafia e le stragi di Stato non possano ammettere ripensamenti o rivalutazioni sulla severità del giudizio e sulla condanna. Un boss pluriomicida non può avere più riguardo e tutela, peraltro, di tanti detenuti meno vip, ladri di galline o drogati lasciati a morire per molto meno in situazioni di degrado estremo.

Difficile comprendere l’analisi della proporzione tra la disgrazia di fama dentro Cosa Nostra in cui è caduto il boss e la diminutio di pena. E’ possibile ragionare secondo questa linea con gente che scioglie bambini  nell’acido o seppellisce  le persone nel cemento?

Il giudizio popolare crede che la mafia sia una barbarie e un’insidia tale per il paese che la pena esemplare sembra l’unico possibile, pallido risarcimento rimasto.  Quel filo, già sottile,  che separa le commemorazioni dalle pantomime dove l’omertà si “acchitta” a festa in onore di Casa Nostra.


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