di Rosa Ana De Santis

E’ finita in silenzio e a porte chiuse, come l’approvazione notte tempo del bilancio,  l’avventura politica della Margherita. Uno scioglimento di cui gli elettori non si sono nemmeno accorti, mentre il tesoriere dello scandalo, Lusi, esponeva la sua efficacissima arringa a SkyTg24. In un caldo fine settimana romano, così, un partito mai decollato è alla fine riuscito a diventare icona delle ombre più pesanti della politica italiana e dei suoi lauti finanziamenti pubblici. Quasi un Amarcord della prima Repubblica.

La giustizia farà il suo corso, anche se esiste una questione di ordine generale e di banale buon senso per cui sembra difficile pensare che un tesoriere agisca in autonomia dai vertici e per propria iniziativa. Avrà un gran da fare Rutelli a dimostrare la sua estraneità, visto che dalla tesi iniziale del “non lo conosco” è passato già a quella (sfornata a chili durante tangentopoli) del “mi sono fidato, che ingenuo!”

Il tesoriere indagato non perde tempo a ricordare agli amici di partito tutte le cose che sa e che potrebbero “fare bene al Paese”, quando sarà prossimamente - ammesso che il Senato, dia il via libera - dietro le sbarre. Ed è così che le lotte fratricide nel partito si sono consumate a colpi di dichiarazioni. Il prodiano Parisi contro Rutelli, improvvisamente assente anche alla battute finali del partito svoltesi a porte chiuse al Teatro Manzoni, nonostante la mozione di trasparenza dal solo Parisi.

Una fine che denuncia, prima ancora che siano i tribunali a ratificarlo, la vergogna. E il metodo, si sa, spesso è più sostanza della sostanza stessa. Come una cricca scoperta, come una banda alla spartizione del bottino, tra distinguo e memorie ad orologeria, l’ultimo petalo è stato strappato.

Assomiglia a tutto questo la fine di una aggregazione pur nata sotto le migliori intenzioni, quelle di non consegnare la storia della sinistra Dc alle truppe di transfughi impenitenti che affollavano la neonata Forza Italia.

Ma l’irrompere sulla scena di personaggi dalle tante giravolte e dal folto pelo sullo stomaco, snaturò ben presto la natura dell’aggregato, confluito poi nel PD. Ma mentre i suoi leader - dalla Bindi a Franceschini - costruivano il nuovo soggetto, altri, in seguito veloci a costruire altre location per le loro aspirazioni, tenevano ben strette le mani sul tesoretto.

L’idea originaria di non far vincere la destra diventava con gli anni quella di non far vincere la sinistra e i “piccioli” servivano a questo oltre che a garantire una vita serena di qualcuno, ex di tutto a futuro incerto. I dati emersi parlano chiaro: 26,3 milioni di uscite irregolari e un sistema di controllo ridotto a colabrodo. Il solo  tesoriere accentratore come beneficiario sembra un po’ troppo poco per essere credibile. Più euro che voti, un caso unico di contabilità creativa.

Nessuna grandezza e nessun dramma, Lusi non è Citaristi, la Margherita non è mai stata la DC e Rutelli non è mai stato niente di significativo. Semmai la giunta per le autorizzazioni dovrà scegliere se arroccarsi o dare un colpo di reni e Lusi diverrà l’ennesimo banco di prova di una casta che difficilmente castiga se stessa.

La recita andrà in scena tra arazzi e poltrone vallutate, mentre in un albergo modesto, un’assemblea federale con tanti assenti ha estinto il partito di cui era tesoriere, con un colpo di replay e con la promessa di devolvere i soldi rimasti allo Stato. Gli ex di tutto ora lo saranno anche del bottino residuo.

 

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