di Rosa Ana De Santis

E’ iniziata da due giorni l’occupazione dell’ISFOL da parte dei lavoratori, sostenuti dal sindacato USB. Dopo un lungo periodo di mobilitazioni e di silenzio istituzionale (tanto da parte del governo quanto dell’opposizione) la decisione è arrivata. La ricerca sul mercato del lavoro, le sue contraddizioni e i suoi squilibri, va tolta dalla mano pubblica per affidarla a quella privata.

L’occupazione dell'Ente è dunque l’unico strumento rimasto in mano a chi si oppone strenuamente allo smantellamento di un ente pubblico di ricerca come l’ISFOL, con la volontà - questa la scure che grava sul futuro scientifico e culturale del Paese - di consegnare la ricerca pubblica in pasto alla logica aziendalista di un’agenzia SpA.

Questa scelta, tutta politica, oltre a rappresentare il prossimo serbatoio di nomine per i soliti noti, prefigura l’orientamento affaristico con cui si vorrà, sempre di più in futuro, fare business con ciò che business non deve essere. Non importa poi, la trascurabile appendice che il CdA seduto in Parlamento non rileva, se a rimanere a casa, grazie a questa operazione di razionalizzazione della spesa firmata Fornero, saranno 300 precari mentre i lavoratori a tempo indeterminato saranno dispersi, pagando un prezzo sui propri contratti, retribuzioni e carriera.

Le professionalità liquidate, ri-contrattualizzate con modalità discutibili, la disoccupazione crescente, rappresentano per ora, a quanto pare, gli unici numeri che la contabilità del governo non sa leggere e di cui mostra di non preoccuparsi.

L’ordine del giorno presentato dalla Senatrice Giuliana Carlino dell’Italia dei Valori, membro della Commissione Lavoro del Senato, è stato comunque assunto dall’Esecutivo e l’auspicio è che la maggioranza si attivi per ritornare sui suoi passi e per salvaguardare le prerogative e la lunga storia dell’Ente. E’ su questa scia che l’USB ha inviato una lettera aperta a tutti i partiti, coinvolgendoli attivamente in una partita che per ora sembra mostrare spiragli di apertura almeno in sede di discussione parlamentare.

La sorpresa più grande, ma forse nemmeno troppo visto l’allineamento con il governo Monti, è stata quella di trovare il PD improvvisamente senza una rotta sul tema della privatizzazione della ricerca pubblica e della soppressione dell’Ente Pubblico. Una vicinanza teorica cui è seguito un grottesco smarrimento operativo, visto che nel documento alla base della IIª Conferenza sul Lavoro di Napoli del 15/16 giugno, il PD continua ad affermare la necessità di istituire un’Agenzia nazionale del Lavoro, fondandola sulle ceneri dell’ISFOL.

A differenza che in passato, infatti, alle parole di solidarietà non sono mai seguite azioni concrete e unitarie in Parlamento, a dimostrazione di tutta la distanza che ormai separa i democratici di sinistra dalla questione del lavoro e che definitivamente li condanna a perdere persino con il comico a cinque stelle.

L’Isfol è l’unico Ente pubblico di ricerca in Italia in tema di mercato del lavoro: ha sempre avuto un ruolo tecnico cruciale nelle politiche comunitarie e ha dato un contributo notevole ai processi di integrazione tra Governo e Regioni, con uno sguardo attentissimo alle politiche sociali e al welfare. Autonomia scientifica e permanenza nel settore pubblico rappresentano l’unico modo per continuare a garantire che una storia di competenze scientifiche e di lavoro di eccellenza non finisca sotto i colpi dei tagli indiscriminati. Proprio quelli che il Presidente della Repubblica, non proprio l’ultimo bolscevico di turno, ha ripetutamente condannato.

La protesta dei lavoratori Isfol va oltre la questione tecnica, pure importantissima, che riguarda l’Ente. All’impoverimento delle tasche segue in parallelo quello delle competenze scientifiche e culturali, nel tranello che il trasferimento di risorse pubbliche al privato sia garanzia di efficienza e non, più volgarmente, l’unico modo per continuare a non muovere un dito sul fronte degli sprechi e per far guadagnare a pochi quello che verrà tolto, ogni giorno un po’, al bene di tutti.

 

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