di Fabrizio Casari

L’assalto dilettantesco operato dalle SBS britanniche in collaborazione con la polizia nigeriana è costato la vita ai due ostaggi. L’Italia è stata volutamente esclusa dal coordinamento operativo e persino tenuta all’oscuro del blitz. Non erano i nigeriani a doverci informare, ma gli inglesi, dal momento che Roma è alleata di Londra e non di Lagos. Ma i Servizi segreti di Sua Maestà non hanno ritenuto di doverlo fare.

Difficile pensare ad imperizia o a meccanismi di comunicazione venuti meno nella fase convulsa dell’operazione; i britannici, di esperienza sul campo e di attività diplomatica ne sanno più di noi. Ora, il fatto che Londra assegni livelli di credibilità alla polizia nigeriana e non ai Servizi italiani è semplicemente un’iperbole. Non è così e nemmeno avrebbe senso ipotizzarlo. Dunque è legittimo domandarsi il perché di una scelta come quella del Premier Cameron.

Forse si temeva che Roma avrebbe posto il veto al blitz, avendo un suo connazionale come ostaggio e, per ciò stesso, diritto a dare il via libera all’operazione o ad opporvisi? O forse si riteneva che, avendo i Servizi italiani iniziato e portato a buon punto la trattativa con i sequestratori (pare che una parte del riscatto fosse già stato consegnato tramite un intermediario) avrebbero addirittura potuto far fallire un blitz del quale avevano - e con mille ragioni - motivo di dubitare del buon esito? Del resto la polizia nigeriana non ha certo fama di qualità nel lavoro investigativo e dunque le sue indicazioni, da sole, non potevano rappresentare una fonte credibile nel disegnare uno scenario operativo.

Sarà difficile ottenere risposte esaustive, vista la materia e i governi coinvolti. Londra sta abilmente cercando di manipolare i media (decisamente poco convinti dell’operato di Downing street) facendo trapelare informazioni assolutamente finte sulla dinamica degli eventi. Circolano versioni per le quali i sequestratori avrebbero deciso di uccidere gli ostaggi a freddo, quando si erano resi conto dell’imminenza del blitz, ma sembrano piuttosto offrire una via d’uscita all’operato dilettantesco delle Special Boat Service, gli incursori di marina si Londra.

Per non parlare poi della cessione degli ostaggi ad Al-Queda, che non manca mai nelle storie costruite ad hoc per le opinioni pubbliche. L’autopsia sui due poveri ostaggi indica però che il povero ingegner Lamolinara è stato ucciso con quattro colpi di Kalashnikov e ciò, più che ad una esecuzione sommaria (solitamente realizzata tramite un colpo in testa o alla nuca) fa pensare all’esito maledetto di una sparatoria, e solo la perizia balistica potrà affermare se i proiettili che li hanno uccisi provenivano dai sequestratori o, addirittura, da “fuoco amico”.

E comunque, a dimostrare l’imperizia e l’idiozia che hanno governato il blitz, va osservato che anche ammesso che siano stati i sequestratori ad uccidere gli ostaggi, normalmente la scelta tra il far intervenire le teste di cuoio o far prevalere la prudenza e la trattativa è proprio la possibilità che i rapitori decidano di eliminare gli ostaggi, minaccia del resto alla base di ogni sequestro. E dunque, secondo le stravaganti menti dello MI6 , quali sarebbe il comportamento da tenere in casi come questi?

E, stabilita l’imprescindibile, assoluta affidabilità delle fonti che dovrebbero illustrare le condizioni nelle quali si effettua un blitz (che vanno dall’allocazione del rifugio alla posizione degli ostaggi, dal numero dei sequestratori al loro armamento, alla loro determinazione di uccidere alla chiarezza degli ordini impartiti da chi li guida) davvero si poteva ritenere che l’operazione avrebbe avuto un sufficiente margine di successo? Perché la riuscita dell’operazione non si misura dalla morte dei sequestratori, ma dal restare in vita degli ostaggi. Fossero stati parenti del Premier inglese o della Casa Reale si sarebbe agito nello stesso modo?

Ma certo non si può negare che la scelta di Cameron sia stata una scelta politica. Lo è stata sia nel voler indicare la linea di Londra nei sequestri di persona che nella decisione di non informare Roma. Ci si può quindi chiedere legittimamente quale sia la considerazione e il rispetto di cui l’Italia gode presso i suoi alleati. Quello di non avvisarci dell’imminente blitz in Nigeria, segue un altro affronto quale quello consumatosi in Libia alla vigilia e durante la guerra civile, con francesi e inglesi che addestravano e rifornivano di armi i ribelli mentre i rispettivi Servizi, civili e militari, s’incaricavano di svolgere il lavoro d’intelligence sul campo. Quest’ultimo aspetto è addirittura proseguito oltre la scesa in guerra italiana, in particolare nell’ultima fase del conflitto, quando americani, inglesi e francesi si sono scatenati nella caccia a Gheddafi e alla sua famiglia, guardandosi bene dal condividere informazioni e strategie con Roma.

O forse, come già in passato (il caso Sgrena-Calipari insegna) si è tenuta fuori l’Italia dalle decisioni operative perché si aveva l’intenzione di mandare un segnale chiaro e oppositivo alla strategia italiana della trattativa con i rapitori? I britannici, è noto, hanno da decenni perso ogni brandello di autonomia e sono, più o meno, l’estensione della volontà statunitense su scala europea e mediorientale. La linea politica che anima le scelte in materia bellica e d’intelligence è emanazione diretta di una subordinazione politica verso Washington che caratterizza Londra sin dai tempi della signora Tatcher.

Detto ciò, non si possono tacere le responsabilità pesanti dei nostri stessi Servizi: un pessimo monitoraggio della vicenda e una colpevole assenza dallo scenario operativo sono solo i primi aspetti evidenti, ma raccontano sufficientemente quanto Roma abbia davvero bisogno di resettare le sue indicazioni strategiche e il livello di efficienza della sua intelligence.

Invece di preoccuparsi del rischio di terrorismo nascente dai conflitti sociali, operando così un tentativo (abituale) di cercare il nemico pericoloso in ogni conflitto sociale e politico interno, sarà bene che capiscano in fretta l’utilità di indirizzare risorse e uomini dove davvero la sicurezza degli italiani è a rischio. La stessa vicenda dei due Marò in carcere in India racconta bene quanta approssimazione ci sia nei vertici militari e politici italiani.

Ora Monti avrà di che riflettere: la credibilità di Roma tra gli speculatori dei mercati finanziari sarà anche cresciuta, ma tra i suoi alleati politici e militari continua a godere di scarso valore. Sarebbe quindi necessario reagire ai ceffoni inglesi e, nello stesso tempo, esigere dai responsabili dei Servizi e della diplomazia italiana le loro dimissioni per manifesta incapacità. A meno di non ripetere il mantra solito e voler dire che, di recitare la parte della marionetta, ce lo chiede l’Europa.

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