di Carlo Musilli 

Le sparate leghiste non fanno paura al Pdl, ma continuano ad alzare polvere sulla malandata politica italiana. L'ultimo strale padano contro il Cavaliere è arrivato dall'ex ministro-in-braghe-corte Roberto Calderoli che, vestendo l'abito del profeta, ha indirettamente (involontariamente?) paragonato Mario Monti nientemeno che a Giulio Cesare. "Berlusconi per le idi di marzo farà cadere il governo, ne sono convinto", ha vaticinato Calderoli, sottolineando che se l'ex premier "non vuole fare harakiri, deve staccare la spina al governo, perché è di sinistra (un giudizio significativo del concetto di "sinistra" che circola in Padania, ndr ) e sta colpendo l'elettorato di centrodestra". Se non lo farà, arriveranno annate di vacche magre: "Alle amministrative andremo da soli - conclude drammaticamente l'ex guru delle Semplificazioni -. Le nostre strade si divideranno per sempre".

Ad aprire le danze con il solito aplomb celtico ci aveva pensato il leader Umberto Bossi, definendo il vecchio amico Silvio "una mezza cartuccia", che "ha sempre paura". Il Senatùr aveva perfino minacciato di far crollare quella torre di Babele che è diventato il Pirellone - dove "Regione Lombardia" fa sempre più rima con "avviso di garanzia" - sfilando la poltrona da sotto le natiche di Roberto Formigoni. Il suo cosiddetto numero due, Roberto Maroni, dal salotto di Daria Bignardi su La7 aveva provato a rincarare la dose: "Berlusconi deve fare chiarezza, non può appoggiare il governo Monti e poi, quando si andrà alle elezioni, chiedere l'alleanza con il Carroccio".

Già, non può. In realtà deve. Sanno tutti benissimo, in Padania come a Roma, che rompere adesso l'alleanza fra Pdl e Lega significherebbe suicidarsi alle amministrative di primavera. E con lo spettro delle politiche che va e viene (ma arriverà al più tardi fra meno di un anno e mezzo) consegnare al centrosinistra le roccaforti storiche del celodurismo in terra veneta e lombarda avrebbe potenzialmente effetti distruttivi. Se le profezie di Tiresia-Calderoli si avverassero, nessuna delle parti se ne gioverebbe, soprattutto guardando ai soldi in busta paga. Il che lascia supporre che si tratti di parole al vento.

E allora, perché mai questo teatrino delle minacce? Ennesimo delirio di onnipotenza in via Bellerio? No. Nel film "Slevin", Bruce Willis la chiamava "mossa Kansas City": loro guardano da una parte, tu vai dall'altra.

Grugnire contro i pidiellini - mai particolarmente amati dai leghisti duri e puri - significa riavvicinarsi allo spirito della base, esasperata da episodi grotteschi come la ciambella di salvataggio gettata a Nicola Cosentino e i rimborsi elettorali investiti in Tanzania. Allo stesso tempo, alzando la voce contro la codardia altrui - immancabile il truce paragone con il capitano Schettino - si distoglie l'attenzione dalle fratture che rischiano di far cadere a pezzi il beneamato Carroccio.

Anche se negli ultimi giorni Bobo ha avuto parole quasi romantiche per il capo carismatico Bossi ("ci conosciamo da trent'anni!"), non è un mistero per nessuno che le macchinazioni per la successione siano iniziate ormai da tempo.

Il progetto maroniano inizierà a prendere corpo con la ripresa dei congressi tanto temuti dal Cerchio magico, ma è bene sottolineare che non prevede alcuna scissione della Lega. E intanto strizza l'occhio a Casini e Alfano.

Problemi forse ancora più seri sono quelli che affliggono il Pdl, a cui la grancassa leghista sta quasi facendo un favore. Sempre secondo la logica della distrazione di massa, il carrozzone berlusconiano ha avuto buon gioco negli ultimi giorni a eclissarsi dalle pagine dei giornali e dagli schermi tv, una volta così pieni di dichiarazioni quotidiane sparate con gli occhi fissi in camera. Il nuovo low profile ha un obiettivo preciso: approfittare della pausa-Monti per riorganizzare le fila del partito, rabberciando a tempo di record una candidatura credibile per Angelino Alfano.

Non è un compito facile. Ora che il re non è più sul trono, la convivenza forzata fra ex democristiani, ex missini e ex socialisti sta rivelando tutta la sua incoerenza. E qui sì che - ormai da tempo - si parla apertamente di scissione. Scajola e Frattini si confermano fra i più intraprendenti, osteggiati in prima linea dagli ex An, con alla guida il condottiero La Russa.

La diaspora sarà scongiurata solo quando Berlusconi deciderà di dare un colpo alle briglie (d'altra parte è così che sopravvive un partito personale). Al momento però il Cavaliere è impegnato a trascinare il processo Mills in prescrizione. Insomma, l'ex premier ha già una lista di problemi abbastanza lunga. Non ha tempo per le velleità leghiste e assicura che "il rapporto con il Carroccio non è finito". Almeno finché non ci sarà un'alternativa.

 

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