di Carlo Musilli

Cosentino dalla galera alla libertà. Maroni dall'esilio al reintegro nelle fila del partito. Due piroette spettacolari, entrambe realizzate nell'arco di poche ore: mancava solo il tutù la settimana scorsa a Umberto Bossi. Nel vano tentativo di riaffermare la propria leadership sulla Lega, riallacciando allo stesso tempo i rapporti con Berlusconi, il Senatùr ha reso più evidente che mai agli occhi degli italiani quello che il Carroccio è diventato: un'accolita allo sbando, lacerata da una frattura verticale troppo profonda per essere sanata. E dopo aver smarrito quasi tutto il suo carisma personale, l'ex alfiere del "celodurismo" sta lasciando per strada anche il suo bene più prezioso, la ragione prima delle sue fortune politiche: il rapporto privilegiato con la base territoriale.

Ironia della sorte, è stata una goccia campana a far traboccare il vaso padano. Il voto in Parlamento sulle sorti di Nicola Cosentino, deputato Pdl accusato di avere rapporti con la Camorra, sembrava aver alzato il sipario sul duello finale fra Bossi e il pupillo di un tempo, Roberto Maroni. Appoggiato dalla segreteria di via Bellerio, Bobo aveva assicurato che la Lega si sarebbe schierata a favore dell'arresto. E così è stato, almeno nella Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera. Quando però la questione è arrivata in Aula, il Senatùr ha ingranato la retromarcia: smentendo clamorosamente l'ex ministro dell'Interno, ha dato libertà di coscienza ai deputati leghisti. Risultato: Cosentino dorme ancora nel suo letto invece che a Poggioreale.

Gli elettori che dai microfoni di Radio Padania lo hanno accusato di aver "salvato un camorrista", evidentemente non hanno urlato abbastanza forte. Subito dopo il colpo di mano a Montecitorio, infatti, Bossi ha pensato bene di continuare sulla linea dispotica. Venerdì sera ha inviato a tutti i circoli locali del partito un fax dal sapore mussoliniano in cui ordinava ai sudditi di sospendere tutte le manifestazioni pubbliche che prevedevano la presenza dell'empio Maroni. Una vera bolla di scomunica in salsa padana, sinistro preludio all'espulsione dal partito.

Per risvegliarsi da questo estemporaneo delirio di onnipotenza il Senatùr ha impiegato una mezza giornata scarsa. Domenica in una patetica intervista a La Padania è arrivato così il secondo volteggio, ancora più imbarazzante del primo: "Nessun veto, io e Maroni presto faremo un comizio insieme. Chi spera in una Lega divisa rimarrà deluso". Forse il fax era stato scritto dai temibili comunisti che sostengono Mario Monti.

Insomma, la dimostrazione di forza che gli era riuscita in Parlamento grazie ai 20/30 deputati che ancora gli sono fedeli è miseramente fallita appena messo piede fuori dal Palazzo. Due ragioni hanno indotto Bossi a più miti consigli: in primo luogo la protesta della famosa base, già indignata per il voto su Cosentino e per la grottesca vicenda dei rimborsi elettorali investiti in Tanzania. Sembra che i militanti stiano addirittura preparando una dura contestazione per la manifestazione che si terrà domenica a Milano. Pensato in origine per serrare i ranghi contro il governo del Professore, il raduno rischia così di trasformarsi nel funerale della Lega unitaria.

In secondo luogo, la controffensiva di Maroni, che ha sfidato pubblicamente l'editto bossiano annunciando la propria partecipazione prima a Che tempo che fa, poi all'assemblea di Libera Padania a Varese, in programma per mercoledì. Ma, soprattutto, Bobo ha minacciato di chiedere la conta dei propri sostenitori nei congressi provinciali e nell'eventuale consiglio federale (invocato da più parti). Nelle amministrazioni locali del nord, l'esercito dei maroniani è molto più vasto di quanto si pensi e sarebbe in grado di sovvertire in via definitiva gli equilibri interni al partito, consegnando a Bossi un biglietto di sola andata per la pensione.

Su queste basi viene da pensare che al Senatùr converrebbe tener buono il suo numero due, o quantomeno non dargli pretesti troppo invitanti per consumare lo scisma. Allora perché ha scelto la strada dello scontro frontale, salvo poi pentirsi fulmineamente, condannando se stesso e la propria cerchia a una miserevole figura?

Il fulcro di tutto è il rapporto con il Pdl, da cui dipendono il futuro e la stessa sopravvivenza del Carroccio. Come un Gattopardo padano, Bossi vorrebbe cambiare tutto perché nulla cambi: il suo obiettivo è andare alle elezioni anticipate con l'attuale legge elettorale che, non consentendo agli elettori di esprimere preferenze sui deputati, riconsegnerebbe lo scettro del potere agli adepti del cerchio magico, che tornerebbero ad allearsi con i berluscones. Maroni, al contrario, vuole dire addio al Porcellum e sfruttare il governo tecnico per organizzare un nuovo centrodestra composto da Lega, Pdl e Udc, ma senza Bossi e Berlusconi. Non sarà una transizione breve, ma il processo è iniziato. E per salvarsi il Senatùr sarà costretto a volteggiare ancora.

 

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