di Carlo Musilli

Una delle regole auree del poker è fingere di avere in mano le carte migliori, anche se non si ha nemmeno una coppia.  E' esattamente quello che in queste ore sta facendo Silvio Berlusconi. La settimana che si apre potrebbe segnare definitivamente la fine del suo impero, ma il Cavaliere non esce dal piatto. Anzi, rilancia: "Nonostante le defezioni, che io continuo a ritenere possano rientrare - ha detto ieri il premier - noi siamo ancora la maggioranza in Parlamento. Abbiamo verificato in queste ore, i numeri sono certi".

Sorvoliamo sul fatto che riuscire a sfangarla nella conta parlamentare non equivale a essere in grado di governare un Paese. Se Berlusconi crede davvero alla favola della maggioranza granitica, è rimasto l'unico. I suoi uomini più fidati, Gianni Letta e Denis Verdini, lo hanno avvertito: al voto di martedì sul rendiconto dello Stato (già bocciato dalla Camera), il governo rischia di andare sotto ancora una volta. Sembra che i voti davvero "certi" siano 306, nella peggiore delle ipotesi 300 (la soglia per la maggioranza assoluta è a 316). A quel punto sarebbe inevitabile una mozione di sfiducia dalle opposizioni e i pidiellini doc si consegnerebbero al massacro.

I consiglieri del Premier hanno quindi suggerito di anticipare la debacle scegliendo la strada delle dimissioni, che consentirebbero al Cavaliere di continuare a detenere il potere, anche se per via indiretta. Ad un nuovo esecutivo a maggioranza Pdl, ma guidato da Letta o dal "tecnico" Mario Monti, ritengono, l'Udc non potrebbe rifiutare il proprio appoggio. Una soluzione che darebbe il tempo di riorganizzare le fila del partito e preparare la nuova candidatura di Angelino Alfano alle prossime elezioni. Se poi si arrivasse davvero al governo di "salvezza nazionale", i berluscones avrebbero un vantaggio non trascurabile: potrebbero scaricare sulle spalle di Monti la responsabilità delle misure draconiane che l'Europa ci impone.

L'ostacolo maggiore su questa strada è rappresentato dalla Lega. E' qui che si misura la distanza più profonda fra Pdl e Carroccio. Nonostante le dichiarazioni propagandistiche di questi giorni, il partito di governo tutto vuole meno che andare alle urne proprio ora. Sarebbe una disfatta annunciata. Il discorso opposto vale per le camicie verdi: più si aspetta, meno possibilità ci sono di riagguantare per i capelli una base mai così stanca e lontana.

Fin qui abbiamo delineato freddi ragionamenti politici che nulla hanno a che vedere con il vitalismo berlusconiano. Anche se forse gli converrebbe, il Cavaliere non ci pensa per niente a cedere il passo: "Non credo a esecutivi tecnici con un premier fantoccio - ha ribadito ieri - e nemmeno alle larghe intese. Siamo convinti che la volontà popolare non possa essere commissariata: spetta a chi ha la legittimità del voto l'onere di governare". Poi un chiarimento: "L'unica alternativa a questo governo sarebbero le elezioni anticipate", ma "noi non le vogliamo. E' nostra intenzione governare l'Italia assumendoci fino in fondo le nostre responsabilità. Non c'è nessuno in questo Parlamento in grado di mettere insieme una credibile maggioranza alternativa".

Peccato che non spetti al Presidente del Consiglio il compito di verificare l'esistenza di una "maggioranza alternativa" in Parlamento. Né tantomeno il capo del governo ha il potere di indire nuove elezioni. In caso di caduta dell'esecutivo (avere la legittimazione del voto popolare non significa affatto garantirsi la poltrona per tutta la legislatura), la nostra Costituzione attribuisce entrambe queste prerogative al Presidente della Repubblica.

Dato l'acuirsi della crisi economica e l'immagine miserevole dell'Italia all'estero, sembra davvero molto difficile che il Capo dello Stato possa scegliere la strada del voto anticipato. Farebbe di tutto per cercare una nuova maggioranza "d'emergenza" nelle due Camere e, con ogni probabilità, alla fine troverebbe una soluzione. A questo fanno pensare le recenti aperture di Casini al Pd, per non parlare dei pidiellini che hanno già abiurato e dei malpancisti in sordina che ancora serpeggiano nelle fila della maggioranza. Non è quindi affatto scontato che al governo Berlusconi debba seguire necessariamente un esecutivo di "tecnici" come unica alternativa alle urne.

Sabato, nel corso della manifestazione romana del Pd a piazza San Giovanni, il segretario Pier Luigi Bersani ha lanciato un appello per l'alleanza di progressisti e moderati: "Un patto di governo per una legislatura di ricostruzione, per sostenere la riscossa del paese, per sconfiggere il rischio che viene dalla peggiore destra d'Europa". Il leader dei democratici ha poi chiarito che intende "dare l'occasione in Parlamento di dire, a chi lo pensa, che così non si può continuare. Non so se accadrà martedì ". Quanto alla possibilità di una mozione di sfiducia, "tutta l'opposizione ci sta ragionando: se si risolve prima non ce ne sarà bisogno". 

Le parole di Bersani sono state raccolte da Pier Ferdinando Casini: "Senza il Pd non si ricostruisce l'Italia - ha avvertito ieri il leader dell'Udc intervenendo alla convention del Terzo Polo -. La sinistra ha detto di essere disponibile. E allora pensare a un governo che emargini una parte del mondo politico più direttamente rappresentativo del mondo operaio e sindacale significherebbe essere irresponsabili".

La presenza più significativa sul palco della convention è stata però quella del senatore Pdl Beppe Pisanu. Pur senza ufficializzare il suo abbandono del partito di governo, Pisanu ha chiesto "a Berlusconi di contribuire con il suo peso politico a contribuire a un governo di unità e salvezza nazionale. Continuo a confidare nella sua intelligenza e nella coerenza politica di quei tanti colleghi del Pdl che non si rassegnano al peggio e mettono avanti a tutto l'interesse dell'Italia. Noi non siamo traditori, semmai traditi".

Contro la prospettiva di un Esecutivo così allargato si sono già alzate in coro le voci sdegnate degli attuali governanti, che ad ogni occasione ritirano fuori la retorica del "golpe". Ne sono un chiaro esempio le parole pronunciate ieri dal segretario Alfano: "In questi giorni ci dicono che occorre un governo tecnico, un governo di responsabilità, un governo di chicchessia a condizione non sia Berlusconi. Sono tutti sinonimi di ribaltone, ma si vergognano a dirlo. Il concetto di fondo è mandare all'opposizione chi ha vinto le elezioni e mandare al governo chi ha perso. Questo significa capovolgere la democrazia".

Stare al governo per interesse personale, massacrando senza alcun pudore il proprio Paese, significa capovolgere la democrazia. Che una legislatura possa chiudersi con una maggioranza diversa da quella uscita dalle urne, invece, è previsto dalla Costituzione italiana. Ma questo lo sanno tutti. O quasi.

 

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