di Carlo Musilli

La settimana che si apre oggi potrebbe essere decisiva per il Governo Berlusconi. Il Consiglio dei ministri è chiamato ad approvare il tanto sospirato decreto sviluppo, quel provvedimento per la crescita invocato a gran voce dall'Europa e dalle parti sociali, Confindustria su tutti. Ancora una volta la partita si giocherà sul terreno dello scontro Tremonti-Pdl: il ministro dell'Economia, ormai sfiduciato da due terzi del suo stesso partito, vorrebbe un pacchetto di misure a costo zero, ma il Cavaliere e gli altri pidiellini non sono d'accordo.

Non è da escludere che il varo del decreto porti con sé le dimissioni di Tremonti, ma fin qui il superministro è stato bravissimo a tutelarsi serrando i ranghi con la Lega. Umberto Bossi ha fatto un bel favore al vecchio amico Giulio raffreddando i bollori di chi nel Governo si eccitava al pensiero di un nuovo condono.

Stesso schema di alleanze e opposizioni anche per quanto riguarda il secondo nodo che l'Esecutivo dovrà sciogliere nei prossimi giorni: la nomina del nuovo governatore di Bankitalia. Berlusconi punta sul candidato interno, il direttore generale Fabrizio Saccomanni, prediletto anche da Giorgio Napolitano e Mario Draghi. Il candidato di Tremonti è invece Vittorio Grilli, direttore generale del Tesoro. Rimane possibile la strada del compromesso su un terzo nome, come quello di Lorenzo Bini Smaghi o di Domenico Siniscalco. Ma anche su questo fronte si potrebbe consumare lo strappo finale e a Palazzo Chigi potrebbe arrivare una lettera di dimissioni timbrata via XX Settembre.

Insomma, dopo la rocambolesca fiducia incassata venerdì scorso alla Camera (che è costata la creazione di quattro nuove cariche ministeriali, distribuite ad altrettanti deputati di buona volontà), il Governo deve dimostrare nei fatti di poter ancora prendere delle decisioni senza rischiare di implodere. Esattamente la richiesta arrivata la settimana scorsa dal Quirinale, perché i numeri sono una cosa, la capacità di agire un'altra. L’ha dimostrato l'ultima riunione del Cdm, ad appena un paio d'ore dal voto salvifico di Montecitorio.

Per approvare il Ddl stabilità, che prevedeva circa sei miliardi di tagli ai loro dicasteri, i ministri hanno dato vita all'ennesima bagarre intra-istituzionale. A schiumare di rabbia erano soprattutto Prestigiacomo, Galan, Fazio e La Russa. L'amor di patria e di poltrona ha suggerito una bella soluzione all'italiana: attingendo all'extragettito ottenuto dall'asta per le frequenze (che avrebbe dovuto finanziare un nuovo progetto per la banda larga), i sacrifici per i ministeri sono stati ridimensionati. Certo, a costo di stravolgere e rabberciare la legge all'ultimo secondo, ma il pressappochismo non è mai stato un problema.

Secondo il premier sarebbe questa la maggioranza che arriverà a "chiudere la legislatura nel 2013". Parole ormai divenute un mantra da ripetere ossessivamente, ma a cui davvero non crede più nessuno. Ad oggi lo scenario più gettonato è quello descritto da Gianfranco Fini in un'intervista a La Stampa: Berlusconi "proverà a vivacchiare più o meno fino a Natale - sostiene il Presidente della Camera - e farà di tutto per ottenere l’approvazione di nuove leggi ad personam, indispensabili per trasformare quelli che lo riguardano in processi “pret a porter”, tagliati su misura per garantirgli l’impunità con la prescrizione breve o altri espedienti. Poi andrà alle elezioni. Presto, molto prima di quanto ci si possa aspettare, sarà Bossi a staccare la spina. Andremo alle urne a marzo 2012".

Le leggi cui si riferisce il leader di Futuro e libertà sono quella sul processo breve - che cancellerebbe, tra gli altri, anche il processo Mills, in cui il premier è imputato per corruzione in atti giudiziari - e quella sulle intercettazioni. La prima sarà approvata in via definitiva dal Senato entro la settimana, mentre la seconda è stata spostata sul calendario di novembre. Una mossa tattica, proprio per non interferire col ddl che contiene la prescrizione breve per gli incensurati.

Tornando a parlare di urne, un altro tema caldo è quello della legge elettorale. Sempre secondo Fini, "si voterà con quella attuale, in modo da rinviare il referendum". Un obiettivo inseguito soprattutto dalla Lega, che vede nel Porcellum l'unico strumento per conservare una rappresentanza parlamentare soddisfacente. Certo sarebbe davvero vergognoso snobbare la volontà referendaria espressa dalle firme di oltre un milione e 200mila italiani.

Quanto al dopo, la nebbia è ancora fitta. Tutti parlano di elezioni, ma nessuno sa dire quali saranno i prossimi candidati a Palazzo Chigi. Berlusconi alimenta la confusione lasciando che si diffondano le voci sul suo ritiro, senza peraltro ufficializzarlo. Intanto intorno a lui si rincorrono manovre e minacce dei cosiddetti "malpancisti". Su tutti Formigoni, Maroni, Pisanu e soprattutto Scajola, che dopo aver votato sì alla fiducia ha lanciato un segnale preciso: :  "Se non si cambia - ha detto - i nomi dei deputati che non voteranno si moltiplicheranno e si andrà a sbattere". E tanto per essere più chiaro ha fatto in modo che due dei suoi, Fabio Gava e Giustina Destro, non appoggiassero la fiducia.

Ma l'incertezza regna sovrana anche nelle opposizioni, sempre più sfilacciate. Sono state loro le più indebolite dal voto di venerdì, che ha fornito la scusa per rompere definitivamente con i Radicali. I cinque deputati di Pannella sono entrati in Aula mandando a monte il tentativo dell'opposizione di far mancare il numero legale alla prima chiama (tentativo che peraltro sarebbe fallito comunque). Un mezzuccio "da consiglio comunale", come l'ha definito Alfano. Ma il punto è che i Radicali hanno disobbedito e "ormai, di fatto, sono fuori dal gruppo", come ha sentenziato Rosi Bindi. Poco prima, fra l'altro, la presidente del Pd aveva snocciolato una sacrosanta verità che varrebbe la pena di apprezzare come assioma generale: i voti sono voti, ma "gli stronzi sono stronzi". 

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