di Fabrizio Casari

Quattro SI messi insieme fanno un NO enorme. Poche volte, in passato, un quorum aveva così ben rappresentato un giudizio popolare complessivo sul governo, le sue politiche economiche e sociali, il suo conflitto con la Costituzione, prima e oltre che quello con le altre istituzioni dello Stato. Il quorum, atteso e temuto, è arrivato come uno tsunami sui flutti del governo che ha tentato ogni mossa, anche la più furbetta, anche la più indegna, per evitarlo. Non sono servite a nient’altro che a determinare l’entità e il peso della sconfitta dell’Esecutivo. Ventisei milioni di italiani hanno dato inizio alle pratiche di divorzio tra la destra e il Paese.

Non è bastato il silenzio stampa da parte dei grandi media, siano essi privati o pubblici al servizio di un privato. Non è stato sufficiente nemmeno cercare di disincentivare l’affluenza alle urne con inviti diretti a non votare, spalmati in lungo e largo dalle dichiarazioni del Premier fino alle previsioni del tempo del Tg minzoliniano. E nemmeno l’ultimo, disperato tentativo d’includere gli italiani residenti all’estero con la speranza di aumentare ulteriormente la soglia del quorum ha avuto successo.

Il popolo italiano, attivatosi sui territori, nei posti di lavoro, sulla rete web, è sceso in campo nel vero senso della parola, riscoprendo il gusto e il piacere della mobilitazione, dello schierarsi contro un pacchetto di misure che sono state considerate inique, sbagliate, pericolose per tutti e convenienti solo per lobbies e cricche che perseguono i loro interessi in spregio a quelli collettivi.

Il risultato straordinario ottenuto pone alcune riflessioni, che riguardano tutto lo schieramento politico, sia governo che opposizione. Il Governo può solo ammettere la sconfitta: suoi erano i provvedimenti sottoposti al giudizio popolare, sue le scelte politiche che li avevano proposti, sua l’ideologia che li aveva ispirati. E, ancor più, indicano con chiarezza che il “tocco magico” del Premier è ormai un pallido ricordo.

Berlusconi, infatti, appare ora come un re Mida alla rovescia, tale è ormai il sentimento generale di ripudio che il popolo italiano gli tributa ad ogni apertura di urne, siano esse destinate al voto amministrativo o a quello referendario. Già il cavaliere aveva miseramente perso il referendum sulle modifiche costituzionali e quelli di ieri sono voti che raccontano, definitivamente, l’irrilevanza delle indicazioni del capo del governo sul tessuto del Paese.

Ha invitato a non votare e gli italiani sono corsi a votare. Ha chiesto di sostenerlo nella sua guerra alla Costituzione - e, di conserva, alla magistratura - e gli italiani gli hanno risposto che sono dalla parte della Carta e dei doveri che essa impone a tutti, uomini di Stato in primo luogo. Impossibile non leggere una batosta per il Governo e impossibile anche non vedere il tramonto di Berlusconi che del governo è Alfa e Omega.

Ha fatto molti danni e molti ancora può farne, ma nessuna proposta che giunge da Berlusconi ha ormai un quoziente di gradimento sufficiente a proporlo come guida politica del Paese e, forse, dello stesso PDL. Il Paese, come ha giustamente commentato Bersani, ha divorziato da Berlusconi. Il Premier non rappresenta più la maggioranza, non incarna più il senso comune degli italiani.

Ma i messaggi arrivano chiari anche all’opposizione, in particolare al PD, che ai referendum non aveva creduto sin dall’inizio, nel timore che il mancato raggiungimento del quorum potesse produrre una vittoria di Berlusconi di cui davvero non c’era bisogno. Ma, soprattutto, la lezione che il centrosinistra deve trarre da questa battaglia vinta è che, nonostante 17 anni di berlusconismo, il tessuto democratico di questo paese tiene. E non solo quello che si manifesta nelle istituzioni che resistono ai golpe striscianti della maggioranza, ma quello che vive nel cuore della società italiana, che al momento buono sa riscoprire il valore determinante della sua capacità di mobilitazione e, quindi, della sua capacità di determinare una nuova fase politica.

Associazioni di ogni tipo, articolate su tutto il territorio, organizzazioni sociali, gruppi d’iniziativa e forze politiche, che in questi lunghissimi e difficilissimi anni hanno lavorato sul territorio, nelle scuole, nei posti di lavoro, nella comunicazione online, in condizioni di cattività, senza risorse se non quelle provenienti dalla loro volontà di non mollare, hanno costituito il collante fondamentale che, insieme alla forza elettorale dei partiti d’opposizione, ha creato i presupposti prima politici, poi numerici, per proporre la sconfitta del Governo. Per ribaltare, insomma, i rapporti di forza elettorali.

Ora, senza voler togliere importanza agli aspetti tattici dello schieramento antiberlusconiano, senza voler ridurre il peso preponderante che una nuova legge elettorale potrebbe avere nel decidere le prossime elezioni, si deve passare dalle schermaglie parlamentari, dai riposizionamenti più o meno settimanali, a un messaggio chiaro: la sinistra, i democratici, hanno voglia di rimettersi in gioco, di uscire dalla sbornia qualunquistica di questi ultimi 17 anni e vogliono farlo sulla base di parole d’ordine precise. La sinistra tutta, complessivamente intesa, non può essere espunta dalla costruzione dell’Italia post-berlusconiana perché, semplicemente, o la sinistra avrà voce determinante in questo processo o, semplicemente, questo processo non inizierà.

Proprio quel terreno così fertile di volontà di partecipazione politica da parte di milioni di italiani, che negli ultimi anni avevano disertato le urne ricche di personaggi troppo somiglianti tra loro, dev’essere quindi il tavolo su cui scrivere l’agenda politica dell’opposizione ed il suo programma di governo. Più che dedicarsi all’annoso (e soprattutto noioso) discettare sull’eventualità del coinvolgimento di Casini, il PD deve assumere una nuova direzione di marcia: il popolo italiano, a maggioranza, ha deciso che la destra berlusconiana è inadatta a governare. Aprire il confronto con questo popolo, permettergli di prendere la parola e contribuire a forgiare il programma politico per l’oggi e per il domani, é la base indispensabile per proporre un cambio di prospettiva politica, una nuova fase storica per questo Paese. Ce n’è un grande bisogno.

 

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