di Eugenio Roscini Vitali

Il 12 novembre 2003, alle 10:40 (le 08:40 in Italia) il quartier generale dei carabinieri a Nassiriya venne devastato da un attentato suicida: morirono 19 italiani (12 carabinieri, 5 militari dell’esercito e 2 civili), 9 cittadini iracheni e altre 140 persone rimasero ferite. Una strage che poteva però essere evitata: l’ha stabilito la Corte di Cassazione nelle motivazioni con le quali spiega perché lo scorso 20 gennaio ha dato il via libera ai risarcimenti per i familiari delle vittime.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dei parenti degli italiani morti nell’attacco suicida alla base Maestrale e le richieste avanzate lo scorso 30 novembre dal  procuratore militare Francesco Gentile e ha annullato con rinvio la sentenza d’appello con la quale erano stati negati i risarcimenti ed erano stati definitivamente assolti il generali Bruno Stano, comandante del contingente italiano a Nassiriya, e Vincenzo Lops, primo comandante di Antica Babilonia e suo predecessore.

Dato che la Procura non ha impugnato l’assoluzione in Appello dei due generali, la decisione dei giudici vale soltanto ai fini civili; ma, come ha dichiarato alla lettura del dispositivo l’avvocato Francesca Conte, rappresentante legale della stragrande maggioranza dei familiari, «si tratta di una grande vittoria morale, perchè le famiglie non hanno mai chiesto denaro ma soltanto l'accertamento della verità, nemmeno quando siamo stati soli e il governo ha fatto leggi contro di noi».

In primo grado il generale Bruno Stano (sul quale dovrà essere fatto rivalere il risarcimento ai familiari delle vittime) era stato condannato con il rito abbreviato dal Gup del Tribunale militare di Roma, Giorgio Rolando: due anni di reclusione per distruzione colposa di opere militari e per non aver aumentato la protezione della base nonostante le notizie «crescenti, dettagliate e diffuse» d’imminenti attentati, nonché per aver sottovalutato «il livello di rischio connesso alla minaccia concretamente esistente» di attacchi armati contro le forze del contingente italiano da attuare con mezzi carichi di esplosivo.

In quella sede all’ufficiale, per il quale il pubblico ministero aveva chiesto 12 mesi di reclusione, erano stati concessi i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale. Il giudice aveva inoltre condannato il generale Stano al risarcimento del danno alle parti civili rimettendo le parti davanti al giudice civile; assolto invece «perché il fatto non sussiste» il generale Vincenzo Lops, per il quale era sta richiesta una condanna a 10 mesi, e rinviato a giudizio con rito ordinario il colonnello dei carabinieri Georg Di Pauli, comandante del contingente dell'Arma ai tempi dell’attentato.

La sentenza con cui il 24 novembre 2009 la Corte militare d’Appello di Roma  aveva assolto i due alti ufficiali e le motivazioni con le quali, nel maggio successivo, il tribunale militare di Roma aveva prosciolto il colonnello Di Pauli - perché il fatto non costituisce reato - avevano lasciato spazio ad un ipotesi d’innocenza che aveva indignato non poco i familiari delle vittime.

L’avvocato Conte aveva commentato la sentenza Di Pauli come una sorta di “pacificazione” sociale che non avrebbe comunque fermato chi, in nome della verità, sarebbe andato avanti: «Un mese e mezzo fa abbiamo ricevuto una lettera del ministro della Difesa, La Russa, che invitava tutte la parti civili o offese ad accordarsi su un risarcimento per chiudere la vicenda. Noi abbiamo rifiutato perché non sono i soldi che ci interessano, vogliamo solo la verità; andremo in sede civile per chiedere che vengano riconosciute le responsabilità del ministero della Difesa. Del resto già nella sentenza d'appello nei confronti degli altri imputati si dice che questi non hanno colpe perché hanno obbedito a ordini superiori. E le famiglie delle vittime vogliono sapere chi ha dato questi ordini, di chi sono le responsabilità, perché questa strage si poteva evitare».

Nel dettaglio, le motivazione della sentenza emessa dalla Cassazione rilevano che nel giudizio devono essere attribuiti comportamenti imprudenti e negligenti e «non vi è dubbio che si tratti di profili classici di vera e propria colpa». Diversamente da quanto valutato per il generale Vincenzo Lops, che «ebbe comunque a rappresentare la problematica al successore, compresa la prospettiva di un cambio di collocazione della base», per il generale Stano la Suprema corte conclude che «non può non essere ribadito il vero e proprio preavviso di pericolo concreto contro le basi italiane in Nassiriya, che seguiva un crescendo di allarmi, secondo cui un gruppo di terroristi di nazionalità siriana e yemenita si sarebbe trasferito a Nassiriya, risultato ex post tragicamente veridico».

Per quanto riguarda la morte e il ferimento dei soldati investiti dall’esplosione della “riservetta” posta davanti alla base Maestrale, piazza Cavour non può non mettere in risalto quanto assurda sia stata la collocazione di quel deposito di munizioni, che secondo le norme di sicurezza doveva essere posto al riparo da eventuali attacchi.

 

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