di Sara Nicoli

La Rai ha un nuovo direttore generale. Si chiama Claudio Cappon e su quella poltrona si è già seduto una volta, quando sulla tv pubblica imperava Roberto Zaccaria e non fu, propriamente, una stagione che si può definire come indimenticabile. Però Cappon aveva fatto la sua figura, soprattutto aveva garantito il centro destra e il neo nominato ministro Gasparri sulla spinosa faccenda della vendita agli inglesi degli impianti di Raiway, voluta da Zaccaria ma osteggiata da Gasparri: non se ne fece nulla, e quindi Cappon si guadagnò sul campo la fama di "uomo di garanzia" di Palazzo Grazioli. Ma il centro sinistra non gliene volle più di tanto. Così l'altro giorno, quando si è trattato di scegliere un uomo che sapesse tenere saldo il timone della Rai in una stagione di marosi e di fibrillazioni politiche e morali, lo sguardo della politica si è rivolto verso di lui, in modo assolutamente bipartisan. A parte Prodi. Ecco, appunto, il premier. Qualcuno ha commesso l'imperdonabile gaffe di non spedirgli in tempo l'invito a cena per il banchetto Rai. E, dunque, lui solo all'ultimo ha fatto sentire la sua voce, quand'era ormai troppo tardi e quando i suoi alleati si erano già spartiti la torta senza troppi complimenti. Così il suo candidato (più di Montezemolo che suo, a dire il vero), l'ex manager della Macerati oggi amministratore delegato della "Stampa, Antonello Perricone," è rimasto al palo. E Prodi ha perso la Rai. Succede quando si pensa di giocare con la tv pubblica come se fosse un'azienda di Stato come tutte le altre quando invece, tutti sanno che non è così. La Rai è l'immagine speculare del paese e dei suoi assetti politici e non conoscerne i meccanismi, se non è grave per chi paga il canone è certamente imperdonabile per chi, in questo momento, si trova alla guida del Paese.

Prodi ha dunque commesso un'imperdonabile ingenuità politica che, nei prossimi mesi, è destinata a pesare moltissimo negli equilibri interni all'Unione. E non solo. Ancora una volta, infatti, la Rai si è rivelata un campo minato per il centrosinistra e, come accaduto un anno fa quando Claudio Petruccioli diventò presidente, anche sulla nomina del nuovo direttore generale sono emerse linee talmente differenti tra Prodi e i suoi principali alleati, Ds e Margherita, da non far presagire nulla di buono per quanto riguarda la tenuta della coalizione. "E' mancato un raccordo tra partiti e Governo, possiamo dirlo", ha sospirato Enzo Carra della Margherita subito dopo essere apparso chiaro a tutti, con il voto del cda, che Prodi era il grande sconfitto del momento. Ma al di là di commenti, più o meno coloriti, quasi tutti hanno offerto lo stesso quadro: una maggioranza che si presenta alla trattativa per il direttore generale della Rai senza una linea condivisa, nonostante la singolare situazione di un cda nel quale i rapporti di forza sono ancora quelli che vedono la maggioranza alla Cdl e minoranza all'Unione. Durante l'afoso pomeriggio di mercoledì, si racconta, Francesco Rutelli e Piero Fassino avevano convenuto per telefono che si dovesse puntare sul "candidato possibile", ovvero sul nome che poteva raccogliere anche il consenso della Cdl, necessario per arrivare ad una soluzione. Nessuna preclusione su Antonello Perricone, era il ragionamento, ma di fronte al ripetuto no della Cdl bisognava pur trovare una soluzione praticabile. Tanto più che, spiegano fonti Ds, "Cappon non era mica una proposta di Berlusconi". Neppure quella di Prodi, però.

Per il Professore ha seguito la vicenda Angelo Rovati, il suo tesoriere. E chi ci ha parlato, subito dopo il naufragio di viale Mazzini, racconta ovviamente di un umore nerissimo dopo la nomina di Cappon. Rovati avrebbe ripetuto ai consiglieri Rai con i quali ha avuto modo di parlare, che il problema non era la figura di Cappon, ovviamente, ma il metodo, cioé il veto della Cdl su Perricone. E poi non era neppure così. Perchè è stato solo per una mancanza di intesa se il centrodestra ha potuto fare proprio il nome di Cappon, incuneandosi perfettamente nel vuoto lasciato sul campo da Prodi e dalla sua maggioranza.
Un pasticcio vero, una prova di forza muscolare da parte di Prodi che ha tentato l'ultima carta attraverso il Tesoro (azionista di maggioranza Rai), facendo cioè chiedere da Padoa Schioppa al cda Rai di indicare non un solo nome, ma due. Tentativo vano, perché il cda ha affiancato a Cappon il nome di Lorenza Lei e non quello di Perricone, nonostante i quattro consiglieri dell'Unione abbiano votato per il candidato sostenuto da Palazzo Chigi. "E' lo stesso discorso - spiega qualcuno - che venne fatto per Petruccioli". Anche in quel caso Prodi non condivise. Cercò di legare il nome del presidente ad un accordo complessivo anche sul nome del direttore generale. Alla fine prevalse la linea di Ds e Margherita: ottenere la nomina di Petruccioli, nella consapevolezza che la Cdl, in maggioranza nel Cda, non avrebbe mai ceduto sul direttore generale.

Insomma, la Rai è stata (e resta) l'incubo di Prodi. Ma , soprattutto, quest'ultima vicenda di cattiva gestione politica di una semplice nomina pubblica, ha messo in evidenza quanto siano ancora delicati gli equilibri tra Prodi e Ds e Margherita quando si tratta di prendere decisioni collegiali; e non solo su un'azienda delicata e determinante come la Rai. Ora si parla già delle prossime nomine e sia in ambienti Margherita che Ds si assicura che un uomo come Gianni Minoli dovrebbe ottenere un ruolo di primo piano. Dopo il gran pasticcio qualcuno si sta preoccupando di far sbollire il il professore ed evitare, soprattutto, altri incidenti davanti agli occhi di tutti.

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