di Cinzia Frassi

Pensiamo ad uno di quei telefilm americani dove succede di tutto. Mettiamoci quattro co-protagonisti: carabinieri molto poco fedeli alla fiamma, ricattatori, protettori di trans e dei loro pusher, con svariate irruzioni e scorribande in vari appartamenti per cogliere in flagrante i clienti dei trans, requisire loro droga, preziosi, denaro e arrotondare lo stipendio con qualche ricatto. Mettiamoci poi che una bella sera uno dei loro pusher li informi che un politico, un pezzo grosso, sia a casa di un trans e che questi quindi si trovino, giusto per caso, a fare irruzione proprio nell’abitazione del trans in questione.

Cosa fanno a questo punto i quattro in divisa?  Naturalmente girano un breve filmato con il telefonino, mettendo anche sul tavolo della droga che poi naturalmente fanno sparire, era giusto una comparsa. Poi incalzano (diciamo così) il governatore a consegnare tutto il denaro di cui dispone in quel momento, prospettandogli le fatali conseguenze di una divulgazione del filmato e delle circostanze in cui si trova. Non ancora soddisfatti, lo costringono anche a compilare assegni per pagare il loro silenzio.

Un brutto film sì. Ma, come in tutti i film americani, ci scappa anche il morto. Un pusher tossicodipendente, informatore dei quattro co-protagonisti, assume una dose di droga eccessiva, un mix letale per farlo stare zitto, dato che le circostanze del caso sono ad un tratto cambiate e va assolutamente scongiurato il rischio che il pusher possa cantare.

Nel nostro paese, dove la realtà supera sempre film, telefilm, serial e la fantasia, accade anche questo. Così, mentre un capo di governo organizza festini con minorenni (ma questo è un altro film) la procura di Roma chiude le indagini sul caso Marrazzo, ex presidente della Regione Lazio, coinvolto in un piano per ricattarlo, estorcergli denaro e forse rovinargli la carriera, la famiglia, la vita.

Il procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo e il pm Rodolfo Sabelli, alla conclusione delle indagini che avrebbero ricostruito il presunto ricatto nei confronti dell'ex presidente della Regione Lazio e chiarito molte circostanze dell'omicidio del pusher Ginaguarino Cafasso, hanno chiesto il rinvio a giudizio per quattro carabinieri, all'epoca dei fatti in servizio presso la compagnia Trionfale, Nicola Testini, Luciano Simeone, Carlo Tagliente e Antonio Tamburrino; della trans José Alexander Vidal Silva (Natalie), sorpresa con Marrazzo il 3 luglio 2009 nel suo appartamento di via Gradoli, e di tre pusher, Emiliano Mercuri, Massimo Salustri e Bruno Semprebene.

Resta invece ancora aperta l’inchiesta sulla morte del trans Brenda. Gli atti depositati parlano di associazione per delinquere, omicidio volontari aggravato, concussione, violazione della legge sugli stupefacenti, rapina, favoreggiamento, perquisizioni illegali. Questi i reati indicati in ben 26 capi d'accusa a carico degli otto indagati.

Niente male, ce ne sarebbe per farne una nuova serie tv. “Sono consapevole che la situazione ha assunto un rilievo pubblico di tali dimensioni da rendere oggettivamente e soggettivamente inopportuna la mia permanenza alla guida della Regione, anche al fine di evitare nel giudizio dell'opinione pubblica la sovrapposizione tra la valutazione delle vicende personali e quella sull'esperienza politico-amministrativa”. Questa era una dichiarazione di Piero Marrazzo che risale al 24 ottobre 2009. Evitare la sovrapposizione tra vicende personali con l’esperienza politico amministrativa. Non ci sono reati. Non ha commesso reati. Si tratta di una vicenda personale, di fatti che semmai possono avere rilievo famigliare.

Senza bisogno di scomodare ancora e per l’ennesima volta il bunga bunga del nostro presidente del Consiglio e le vicende legate ai giri dei suoi festini, pensiamo a quanti siedono o sono stati seduti sulle comode poltrone della politica pur avendo commesso reati - anche con un rilievo molto stretto con le loro mansioni - e che ancora vi siedono. Pensiamo a quanti nomi con condanne passate in giudicato risalenti alla famosa stagione di tangentopoli ancora passeggiano tra Montecitorio e Palazzo Chigi. O a coloro che hanno - ad esempio - condanne definitive per concorso esterno in associazione mafiosa.

Potremmo continuare. Va da se che in questa vicenda non sono i reati ad aver fatto la differenza, dato anche che pare non siano nemmeno più di grande rilievo per spostare il consenso. Quindi mettiamo da parte la fedina penale. Certo, andrebbe ricordato l’art. 54 della Costituzione al secondo comma recita: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”. Devono adempiere le loro funzioni, cioè il loro lavoro, il mandato. E la vita privata? E’ privata, fino a che non costituisce reato.

Il punto nevralgico della questione allora potrebbe essere legato esclusivamente all’aspetto sessuale della vicenda: un politico, anzi no, un uomo, colto a spassarsela, diciamo così. Anche qui però diventa difficile orientarsi. Anche qui potremmo fare qualche nome, qualcuno addirittura non si è nemmeno dimesso. C’è chi ne avrebbe fatto addirittura un'abitudine, un sistema standard di “divertimento”, come il nostro presidente del Consiglio. Quindi, nemmeno da qui se ne esce. Certo, ci sarebbe da dire che siamo nei confini del belpaese, dove sull’onda del volemose bene, tutto si può fare. Nel resto del mondo l’elenco di politici di vario calibro che si sono dimessi per vicende sessuali di vario tipo sarebbe assai lungo.

Va da se che all’estero i politici si vedono costretti a dimettersi per cose che da noi fanno sorridere, come aver copiato una tesi di dottorato, vicenda che ha portato alle dimissioni del ministro della Difesa tedesco, il barone zu Guttenberg. Quindi, difficile stabilire una regola in politica. Difficile però anche stabilire i motivi per cui in una vicenda così grave per le condotte delle persone (anche in divisa) coinvolte, per il ricatto e per lo sciacallaggio successivo da parte di politica e parte della stampa, abbia spazzato via una carriera, un bravo giornalista, un politico.

Difficile anche capire certi giornali che ancora si accaniscono. Libero, lo scorso 1 febbraio, ha lanciato in prima pagina il titolone: "Marrazzo ci ricasca" e nell'occhiello "l'ex governatore del Lazio fermato dai carabinieri ad un posto di blocco”. Aggiunge anche: "E la procura di Milano chiede il processo immediato per Berlusconi". Nella fattispecie Piero Marrazzo, che ha querelato il giornale in questione, è stato fermato da una pattuglia a bordo della sua auto, mentre accompagnava un trans a casa. Niente eccesso di velocità o altre infrazioni, documenti a posto. Anche qui nessun reato, nessuna infrazione, multa, droga. Niente. Se non le urla degli house organ del padrone che alza il polverone scopo lotta politica. Indegna.

 

 

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