di Rosa Ana De Santis

Il 26 febbraio scorso, il Premier, intervenendo al congresso dei cristiani riformisti, si è lanciato in un bizzarro e all’apparenza imprevisto, manifesto di regole morali. La difesa della famiglia, il divieto categorico alle unioni omosessuali, mai adozioni a single o a coppie gay. Vestendo i panni di un improbabile sacerdote del focolare il Presidente del Consiglio si è proposto come difensore della famiglia naturale e tradizionale. La strategia è la stessa, spudorata e vincente, cui ci ha abituati il nostro manager di Palazzo Chigi.

Il rilancio sugli stessi argomenti del tracollo e della perdita di consenso con una virata verso il rigore, cui mancava solo il cilicio. Con la consueta faccia tosta Silvio Berlusconi sa bene che, in pieno scandalo Rubygate e in piena arena giudiziaria, rilanciare la propria immagine da uomo che si confessa peccatore, ma che conosce bene dove sia il buono e il bene, paga in termini di voti; assolve lui e assolve tutti quelli come lui o che come lui vorrebbero essere. Soprattutto se la platea degli uditori è una vecchia costola di DC, tanto più utile in piena guerra fredda con i porporati e con il cattolico umore generale del paese.

Il dato più importante non è tanto il noto decalogo del conservatorismo ancorato al diritto naturale, quanto il fatto che a farlo sia un governo, per bocca del suo capo, che ha fondato ogni difesa dell’incontinenza erotica di Berlusconi, con l’argomento della politica autonoma dalla morale. Se questo vale nelle case del premier e dentro i suoi letti, dove possono entrare minorenni e prostitute a sfregio di ogni legge e non solo di ogni rettitudine, perché quel che conta è il suo ruolo pubblico, non si capisce perché la scure della moralità (la loro peraltro) debba entrare nella vita relazionale degli omosessuali ad esempio.

Perché i loro affetti e sentimenti debbano essere considerati meno nobili e meno puri di quelli eterossessuali che sarebbero, così pare, gli unici ad essere nobilitati dalla dignità dell’unione familiare. Aldilà del disgusto per chi crede in questa teoria, quale danno pubblico procurano alla società civile e al paese queste preferenze sessuali? Se non si nuoce ad alcuno perché si dovrebbe subire una discriminazione di diritti individuali? Non è molto poco liberale questo approccio?

Lasciando fuori dal comizio l’adozione dei bambini, che obbliga ad un ragionamento sui diritti speciali dell’infanzia, la questione degli omosessuali svela tutta l’illiberalità e tutta la finta realpolitik del governo e del suo satrapo. Una vera politica liberale non avallerebbe alcuna discriminazione pubblica sulla base della preferenza sessuale dei singoli, non perché sia immorale, ma soprattutto perché sarebbe ininfluente nella vita pubblica. Una politica liberale autentica ragionerebbe sempre sulla scala dei danni e i benefici della società e scoprirebbe che un Presidente del Consiglio in combutta con Lele Mora, che costruisce variazioni della Magna Charta per sfuggire alla legge e che consuma rapporti sessuali a ripetizione con minorenni, é un uomo che danneggia la credibilità del Paese. E questo si che è un problema politico serio e grave.

I valori che Berlusconi conosce sono quelli amministrati dal ragionier Spinelli ed é evidente che un uomo con la sua condotta non ha la più pallida idea di cosa sia una famiglia, se non nella versione più maschilista e violenta che tante lacrime costa ancora a questo Paese. E’ altresì evidente che un uomo che smarca la morale rivendicando l’efficacia della sua politica non ha alcuna credibilità né titolo quando parla di relazioni, sentimenti, tradizioni per sua stessa ammissione. Tantomeno quando sostiene che la scuola pubblica, quella di Stato aperta a tutti, è contraria alle regole date in famiglia ai ragazzi. E chiarisce bene cosa intende quando alla fine, con un colpo di stile, invita tutti ad andare al bunga bunga.

Il sorriso delle barzellette è il modo goliardico con cui Berlusconi confeziona la politica delle illusioni. Al mattino si votano i valori, meglio se medievali per sentirsi in grazia di dio, e alla sera si fanno i peccati. A patto che la legge dello Stato non ne veda nessuno, nemmeno quando nuoce a qualcuno o alla dignità di una nazione intera. Nemmeno quando, per intenderci, questi peccati si chiamano reati.

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