di Eugenio Roscini Vitali

Anche quest’anno in Italia la "Giornata della memoria" in ricordo delle vittime della Shoah è stata carica di eventi: incontri, mostre, musica,  proiezioni e dibattiti sulle persecuzioni, sul negazionismo e su quella che può essere considerata come la più grande tragedia dell’umanità. A parlare sono stati i pochi superstiti ancora vivi, i parenti della famiglia segnate dalle deportazioni e i discendenti dei martiri dell’Olocausto, gli ebrei di seconda e terza generazione, quelli nati trenta o quarant’anni dopo il parossismo distruttivo della Shoah e dopo la nascita dello Stato di Israele.

Gli ebrei e non ebrei che hanno scelto di vivere il “dovere della Memoria” come sentinelle che non vogliono lasciare spazio a chi vuole dimenticare o a chi vuole diffondere un’idea distorta di quel progetto distruttivo che tra il 1933 e la primavera del 1945 attraversò l’Europa intera: il piano deciso e concretizzato dal Terzo Reich che la Germania nazista attuò anche grazie alla collaborazione, parziale o totale, di governi e movimenti politici che condividevano gli stessi fini.

Nell’Italia del Novecento la persecuzione antiebraica conobbe due momenti ben distinti: una prima fase che va dal 14 febbraio 1938 al luglio del 1943 e che ha inizio con il censimento sulla religione professata dai dipendenti del ministero degli Interni, censimento ad impostazione razziale ripetuto a livello nazionale il 22 agosto dello stesso anno. La seconda fase fu quella degli arresti e delle deportazioni, che ebbero inizio tra il 15 e il 30 settembre 1943, quando i nazisti arrestarono 22 ebrei di Merano e ne uccisero quasi 54 sulla sponda piemontese del Lago Maggiore.

Il mese successivo venne attuata la prima retata, nel Ghetto di Roma: alle 5:30 del 16 ottobre 356 soldati di un reparto specializzato delle truppe tedesche diedero inizio alla “Judenoperation”; circa cento invasero le strade del Portico d’Ottavia, gli altri ispezionarono le 26 zone operative in cui il Comando tedesco di Villa Volkonsky aveva diviso la capitale.

Quando il gigantesco rastrellamento si concluse furono 1.024 gli ebrei romani catturati, 441 nuclei familiari, tra lori quasi 207 bambini. Due giorni dopo, alle 14:05 del 18 ottobre, diciotto carri bestiame piombati con a bordo 824  ebrei partirono dal binario 1della stazione Tiburtina, destinazione Auschwitz-Birkenau, in territorio polacco; di loro torneranno a case quindici uomini, una donna e nessuno degli oltre duecento bambini.

In Italia, tra il 16 ottobre 1943 e 2 maggio 1945, giorno della capitolazione tedesca e fascista, gli ebrei arrestati, deportati e massacrati furono più di ottomila, dei quali 2091 nella sola Roma, liberata il 4 giugno 1944. Le autorità italiane cominciarono ad arrestare e internare gli ebrei dal 1° dicembre 1943; furono i tedeschi a riconoscere alle milizie della Repubblica Sociale Italiana (RSI) l’autorità nella gestione degli arresti e nel trasferimento dei prigionieri dai campi provinciali al campo di concentramento e di transito per ebrei e oppositori politici di Fossoli, a pochi chilometri da Carpi, aperto il 5 dicembre 1943 in ottemperanza a quanto disposto dalla Carta di Verona e dall’Ordinanza di Polizia n. 5 inviata a tutti i Capi delle Province Libere a firma del Ministro degli Interni, Giudo Buffarini.

l primi  ebrei e i dissidenti arrestati dagli italiani vennero consegnati alle autorità tedesche di Fossoli il 5 febbraio 1944, su ordine del prefetto di Reggio Emilia e dietro sollecitazione del capo dell’Ordnungspolizei di Bologna;  il 19 e il 22 febbraio 1944 partirono i primi due convogli  di deportazione per Bergen-Belsen e Auschwitz.

Prima della chiusura del campo e del trasferimento delle attività di concentramento nella struttura nazionale di Bolzano-Gries, avvenuto il 2 agosto 1944, per Fossoli transiteranno circa cinquemila internati, 2.844 dei quali ebrei, deportati che avranno come tragiche destinazioni i campi Auschwitz-Birkenau, Buchenwald, Bergen-Belsen, Mauthausen, Ravensbruck; l’ultimo convoglio di deportati ebrei lascerà la Risiera di San Sabba il 24 febbraio 1945, a quasi un mese dalla liberazione del campo di Auschwitz.

Dal 14 luglio 1938, giorno in cui venne pubblicazione su Il giornale d’Italia “Il fascismo e i problemi della razza”, documento programmatico sottoscritto sotto l’egida del Ministero della Cultura Popolare da gruppo di studiosi e docenti delle Università italiane, in Italia vennero perseguitati circa 40 mila ebrei, 35 mila dei quali riuscirono a sfuggire alla deportazione fuggendo in Svizzera o vivendo in clandestinità, protetti dagli antifascisti e da chi si oppose allo sterminio.

Tra le fila fasciste della prima ora si contarono numerosi italiani di religione ebraica (furono 350 gli ebrei che parteciparono alla marcia su Roma e 746 erano iscritti ai Fasci Italiani di Combattimento) e diversi di loro morirono durante le manifestazioni di piazza a sostegno del movimento (Duilio Sinigaglia, Gino Bolaffi e Bruno Mondolfo furono dichiarati martiri fascisti). Anche grazie al trasformismo dello stesso Mussolini, che scrisse sul Popolo d’Italia che «in Italia non si fa assolutamente nessuna differenza fra ebrei e non ebrei; in tutti i campi, dalla religione, alla politica, alle armi, all'economia», nei primi anni 30’ una considerevole parte dell’elite culturale italiana si lascio affascinare dalle idee antisemite della Germania nazista e dell’Europa orientale.

Il “Manifesto degli scienziati razzisti”, noto anche come "Manifesto della Razza", pubblicato in forma anonima sul Giornale d'Italia il 15 luglio 1938 con il titolo “Il Fascismo e i problemi della razza” e poi ripubblicato sul numero uno della rivista La difesa della razza il 5 agosto 1938 a firma di dieci scienziati italiani, ebbe un ruolo non indifferente nella Dichiarazione sulla Razza emessa dal Gran Consiglio il 6 ottobre 1938, documento dal quale prenderanno forma i Regi decreti e le cosiddette leggi razziali sostenute da intellettuali e personalità di spicco della società civile, personaggi illustri, o destinati a diventarlo, che contribuiranno in modo decisivo all’affermazione del razzismo e dell’antisemitismo in Italia.

La promulgazione delle leggi razziali fu accompagnata da una campagna di stampa aggressiva e denigratoria, mirata a diffondere un senso di diffidenza e di odio contro quella che il regime definiva la “marmaglia giudaica”; una campagna di stampa che, per ampiezza e capillarità, non poté non essere ignorata da vasti strati della popolazione.

Attraverso le pagine dei quotidiani, il regime riuscì a veicolare un’immagine falsata degli ebrei, che doveva imprimersi nella coscienza collettiva come  quella dell'elemento estraneo e inassimilabile; gente considerata diversa dalla cosiddetta “stirpe italica” e dalla quale bisognava guardarsi. Accuse che nel tempo agirono come veleno, che trasformarono il vicino di casa in una persona capace delle più sordide trame, subdola e pronta a tradire la comunità in cui viveva e per questo pericolosa.

Nell’arco di pochi mesi molte testate nazionali e locali diedero il via ad un attacco di rara violenza, con articoli spesso aggressivi che propagandavano il carattere autenticamente italiano del razzismo fascista e riprendevano  le idee espresse da Paolo Orano nel libro “Gli ebrei in Italia”. Spinto dal Ministero della Cultura Popolare, il giornalismo italiano, fino ad allora inerte ed estraneo al sentimento antisemita, fu trascinato dai giornali d’avanguardia: Il Popolo d’Italia; Il Regime fascista; Il Tevere; Cremona nuova; Giornalissimo; Quadrivio; Il telegrafo; Il Mezzogiorno, quotidiano di Napoli.

In conformità al “nuovo corso” voluto da Benito Mussolini, i quotidiani italiani accentuarono progressivamente i toni e dal 15 luglio 1938 il “problema della razza” venne affrontato direttamente, con la  pubblicazione di numerosi articoli di carattere scientifico, rivolti a chiarire il concetto di razza e la necessità di difendere la purezza della “stirpe italiana”.

Questi i titoli più significativi: "Razze e razzismo", "Origini ed omogeneità della razza italiana", "L’unità etnica italiana", "I temi per la difesa della razza fissati dal Segretario di Partito", "Punti fermi sul giudaismo", pubblicati dal Corriere della Sera; "Il razzismo italiano data dall’anno 1919", "Un ebreo contro gli ebrei", sul Popolo d’Italia; "Nostro razzismo", "La difesa della razza è un diritto e un dovere", da Il Regime fascista; "Pietismo fuori posto", su La Stampa di Torino.

La più immane delle tragedie della storia dell’umanità ebbe dunque i suoi teorici, i suoi aguzzini, i suoi doppiogiochisti e i suoi propagatori. E oggi, purtroppo, i suoi tifosi travestiti e i suoi negazionisti.

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