di Bruna Brioni

Con il voto definitivo del 23 dicembre in Senato la riforma Gelmini e l'aziendalizzazione dell'Università hanno preso il via. Con 161 voti favorevoli, 98 contrari e 6 astenuti si è segnata la fine di un lungo periodo di protesta negli atenei e nelle piazze italiane. La politica ha perso su tutti i fronti e non solo per il triste spettacolo di un'inutile rush finale di un'opposizione, quella del Pd, perennemente in letargo, ma anche e soprattutto per l'evidente mancanza di capacità rappresentativa di quelle istanze e bisogni che la protesta degli studenti ha portato alla luce negli ultimi mesi. Da sottolineare, inoltre, che per portare a casa i titoloni di questa riuscita, il testo Gelmini è stato blindato dietro offerta all’opposizione di contentini in sede di mille proroghe.

La società italiana, soprattutto con i giovani, si trova a dover fronteggiare un cambiamento radicale negli stili di vita e nei punti di riferimento più tradizionali. La crisi economica poi rende piuttosto rapido questo cambiamento che gli italiani vivono in pieno regime berlusconiano. Pensiamo solo alla vicenda Fiat, al suo AD Marchionne, osannato come il genio del management e alla trasformazione delle garanzie di un contratto collettivo nazionale in carta straccia. Più di così. Così mentre a sinistra il Partito Democratico si arrabatta sulle “primarie” pare non si riesca  a trovare efficaci argomenti per ricostruire ridare spunti a una sinistra senza fiato.

Intanto l'Università targata Gelmini, dopo la promulgazione del Presidente della Repubblica e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ha bisogno di una serie piuttosto nutrita di decreti e regolamenti attuativi, ma sembra che entro nove mesi sarà cosa fatta. La ministra, infatti, garantisce che "la riforma verrà attuata fin dal prossimo anno accademico" e promette che nei prossimi mesi seguiranno tutti gli adempimenti e i decreti attuativi necessari. Il ddl Gelmini recante "Norme in materia di organizzazione delle Università di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare l’efficienza del sistema universitario" è ora cosa fatta e nei prossimi mesi saranno radicali i cambiamenti strutturali negli Atenei italiani.

Si è parlato a sproposito di organizzazione, ma il cambiamento cui stiamo per assistere sarà radicale, trasformando il volto e la natura dell'istruzione universitaria italiana. Infatti, la parola che meglio descriverebbe questa trasformazione, è "aziendalizzazione"; lo spauracchio per eccellenza del governo per vestire di modernità i tagli indiscriminati ad ogni settore sociale, culturale e in definitiva economico. Le riforme sono solamente una foglia di fico per mascherare i soliti tagli indiscriminati e ne è un esempio tipico la famosa riforma targata Brunetta.

Uno dei punti principali della riforma, riguarda l'organizzazione degli Atenei. Attualmente i Consigli di amministrazione degli Atenei italiani sono composti dal rettore, dal pro rettore, dai rappresentanti di docenti, ricercatori e studenti. Accanto a questi siedono in consiglio rappresentati degli enti locali, quali il Comune, la Provincia, la Regione, della Camera di Commercio e naturalmente da un rappresentate del Ministero dell'Istruzione, Università e ricerca.

Con l'entrata in vigore della riforma il cda degli Atenei sarà ridotto a 11 componenti e almeno 3 dovranno essere esterni, privati. Inoltre, il direttore amministrativo finisce la sua carriera per lasciare il posto alla figura del direttore generale, un manager cui farà capo la complessiva gestione e organizzazione dei servizi e delle risorse, compreso il personale dipendente.

Non solo: per lasciare mano libera al consiglio di amministrazione e alla nuova governance, entra in gioco anche la possibilità di unire o federare università vicine. Questo anche perché i tagli sono stati e saranno sempre più fatali. Ben consapevole di questo il governo delinea con generosità le vie di fuga.

Accanto a questa "ristrutturazione" sono molti gli elementi che confermano l'assenza di qualsiasi fondamento di rinnovamento e confermano che a scrivere il disegno di legge sia stato il ministro Tremonti. Così mentre il denaro scorre a fiumi a vantaggi dei soliti noti e di opere pubbliche mai iniziate (come il ponte sullo stretto) o per opere costruite e subito abbandonate (come a La Maddalena in Sardegna, per il settore cultura, formazione e per tutti i servizi sociali) l'imperativo è uno solo: tagliare.

La scure si abbatte anche sul reclutamento dei ricercatori, che diventano a tutti gli effetti a tempo determinato per un massimo di sei anni. L'accesso ai ruoli di associato e ordinario è lasciato ad un'abilitazione nazionale come condizione di base, cui fanno seguito le attuali procedure di selezione pubblica bandite dalle Università cui potranno accedere solo gli abilitati. Gli altri punti sono specchietti per le allodole, messi lì per fare colore, per distrarre dalla vera finalità di cui sopra. Sempre i tagli.

Solo che si taglia anche e soprattutto sul diritto allo studio, dato che i fondi saranno ridimensionati sensibilmente e, accanto a questi, per compensare secondo la ministra, si introducono dei contributi sulla falsariga dei prestiti d’onore. Significa che lo studente non riceve un contributo, un aiuto. Riceve un “finanziamento” da restituire. Il diritto allo studio dovrebbe prevedere risorse che rendano democratico l’accesso e il conseguimento di un titolo di studio universitario, non un prestito. In sostanza la funzione fondamentale e costituzionale di garanzia d’istruzione, cultura e progresso vengono meno per lasciare il posto ad una sperequazione sociale fatta di privilegi a beneficio di pochi.

Ma tra i famigerati meriti della riforma si ricomprende la famosa parentopoli, cui il governo risponde con un decalogo etico. Invece di garantire il rispetto delle norme, che ci sono, che regolano il reclutamento e l’assunzione di docenti in modo trasparente e corretto per tutti, parenti o no, s’introducono delle incompatibilità in base al grado di parentela.

E’ davvero paradossale: per garantire ciò che è legale, si ricorre all’introduzione di una norma che probabilmente sarà additata come incostituzionale perché lesiva del principio di uguaglianza. Inoltre, non si è presa in considerazione l’eventualità di uno scambio di favori su Atenei diversi: io assumo il tuo, tu assumi il mio.

Quello che è sicuro, e tuttavia poco innovativo, sono i tagli alle risorse destinate a Università, ricerca e diritto allo studio. Non è invece del tutto sicuro che questa possa essere l’ultima riforma del governo Berlusconi che, sotto ricatto della Lega, dovrà mettere insieme qualcosa per il federalismo tanto osannato dalle camicie verdi. Altri tagli incombono.

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