di mazzetta

Il nostro paese esce dal 2010 più povero e scassato di come vi era entrato, ma nonostante tutto ancora intero. I primi dieci anni del secolo non sono stati facili per l'Italia che, oltre a dover far spazio al sorgere dei paesi asiatici e ad altre economie ormai ruggenti, come quella del Brasile, sembra aver imboccato una pericolosa discesa verso una decadenza che va ben oltre le sofferenze dell'economia.

Una decadenza che è prima di tutto culturale, tanto che oggi parlare di cultura sembra quasi fuori posto e davvero interessare a pochi; una decadenza che sembra inarrestabile, almeno ad osservare la quasi totale assenza di ribellione e a questo tristo destino. Non è solo colpa del berlusconismo o del localismo leghista, se oggi l'Italia appare più provinciale e meno influente che mai; anche la sinistra in disfacimento ha contribuito per la sua quota-parte.

E non è solo colpa del pensiero unico, di quella globalizzazione dei capitali che ha universalizzato lo sfruttamento dei lavoratori e dei territori. Il crollo del muro di Berlino ha fatto saltare un contrappeso importante. Il trionfo sul comunismo ha dato vita a un'élite globale priva di aspirazioni che non siano la conservazione e la monetizzazione del potere, il sistema economico è  stato liberato dalle poche regole sagge che ne limitavano gli eccessi e il crollo di Wall Street e dell'economia americana sono state le ovvie e previste conseguenze di questo procedere in ordine sparso al saccheggio.

In Italia va peggio che altrove: qui la crisi delle classi dirigenti è assoluta, non ci sono idee e non ci sono alternative al vuoto pneumatico della politica. Lo Stato è da anni in ostaggio dei problemi di Berlusconi e i suoi ministri da taverna si esibiscono senza ritegno su copioni che erano già indegni al tramonto del secolo scorso. Manca qualsiasi tensione etica, manca qualsiasi senso del limite, la calunnia e il falso sono moneta comune, la politica spettacolare ha travolto l'antica arte della mediazione democratica tra gli interessi e consegnato il paese a un continuo show che si ripete inevitabilmente uguale da anni. Uno show al riparo del quale gli interessi più forti prosperano a spese dei più deboli.

L'anno si è chiuso con il Presidente del Consiglio che si è comprato alcuni deputati alla luce del sole (pagandoli con fondi pubblici) per risolvere il problema posto dall'ammutinamento di chi ha lanciato la volata alla sua successione senza essere capace di vincerla. Il maggiore partito d'opposizione è un'informe aggregato di gente che pensa tutto e il contrario di tutto e che continua ad inseguire i voti a destra, perdendone molti di più tra i proprio sostenitori storici. Ma se poi capita che la grande speranza bianca della sinistra italiana cade dalle scale e i suoi gridino all'aggressione, ecco che si capisce come siano ridotte le speranze dei molti italiani che voterebbero volentieri un partito che sia all'altezza delle pur scolorite sinistre europee

La melma consociativa sembra sommergere il paese, il governo delle destre fa politica attaccando i comunisti che non ci sono più, i magistrati e gli immigrati, gridando contro le tasse che intanto eleva per nutrire i propri complici nel sacco della cosa pubblica. Il sistema, che si voleva riformare in senso bipartitico collassa ed esplode in mille partitini, specchio delle camarille e delle complicità nascoste sotto il velo istituzionale.

Eppure il paese resiste. Resistono eroici gli insegnanti messi all'indice dal governo che vuole demolire l'istruzione per favorire l'affermazione della politica spettacolare. Resistono i lavoratori della sanità, una delle migliori al mondo, sotto i colpi dei tagli e dei servizi giornalistici sulla “malasanità” che non esiste. Resistono i lavoratori della pubblica sicurezza, ai quali il governo sottrae il merito della lotta anticrimine e che sono mandati in piazza a rispondere con i manganelli alle domande dei cittadini, ai quali il governo non risponde mai perché è meglio schivare il merito quando non si possono dire che menzogne per difendere politiche criminali.

Un paese che ha due polizie e che manda anche la Guardia di Finanza a svolgere compiti di servizio di piazza è sicuramente che ha qualche problema strutturale, evidentemente ostaggio di corporazioni e interessi noti quanto inconfessabili; ma il potere che risponde ai cittadini esclusivamente con la polizia, è un potere destinato a non avere futuro.

Resistono anche i lavoratori che non lavorano più, resistono i cittadini ai quali il governo taglia i servizi per spendere miliardi di euro in armi che la nostra Costituzione impedirebbe di usare, per rispondere a minacce che non esistono. Quelle spacciate sono le solite minacce create dal nulla dalla grande macchina della paura che funziona un po' come il racket mafioso: prima passa qualcuno a far danni o a seminar paura e subito dopo appare il governo ad offrire la sua protezione. Passata la minaccia islamica e quella degli immigrati stupratori, ci si è dovuti accontentare di suonare l'allarme-nomadi, un calando oltre il quale non si sa cosa ci attenda.

L'italiano resiste grazie al welfare familiare, così come la cultura resiste attraverso la solidarietà di chi ancora crede che sia l'unico strumento per emanciparsi dalla barbarie e incamminarsi verso una civiltà più evoluta. Ogni mattina gli italiani si alzano indifferenti allo schifo della politica e si mettono al lavoro in condizioni sempre più precarie e scoraggianti, mentre una schiera di fenomeni che non hanno mai lavorato in vita loro gli urla che sono bamboccioni, fannulloni e parassiti, quando non addirittura teppisti, traditori o terroristi.

È davvero un grande paese quello che riesce a non andare in pezzi in queste condizioni, non è solo fortuna e non è solo la famosa arte di arrangiarsi, ci dev'essere per forza qualcosa di più. Forse un antico retaggio dell'età comunale, che insegnò agli italiani che si poteva vivere e ci si poteva organizzare senza attendere le decisioni di signori lontani o di imperi che governavano per procura.

Non è detto che basti per sopravvivere alla decadenza delle classi dirigenti e a quella dell'economia nazionale. Così come non è detto che, sparito Berlusconi e il suo seguito di nani e ballerine, questa forza sia sufficiente ad invertire la tendenza ormai radicata a buttare alle ortiche le grandi conquiste culturali e sociali che tanto sangue sono costate nel secolo scorso.

Occorre però avere un minimo di fiducia nella capacità degli italiani e delle italiane. Se non si vuole gettare la spugna e abbandonarsi alla malinconia e alla rassegnazione di un lento declino che a molti appare inevitabile, occorre rinnovare agli italiani quella fiducia tradita dalle classi dirigenti e rifiutare la politica del potere che prospera sulle divisioni e sulle contrapposizioni, che lavora incessantemente per costruire e mantenere.

Siamo un grande paese, nonostante chi ci rappresenta non valga la metà di un signorotto feudale dei tempi che furono, è bene ricordarlo e anche bene crederci, almeno fino a che si può. Come cittadini forse ci meritiamo molto di quello che ci sta succedendo, ma non ci meritiamo anche di peggio; sta a ciascuno di noi contribuire con parte delle rispettive qualità e attività a fare in modo che la decadenza si arresti e il peggio non si materializzi. Sappiamo benissimo di non poter contare sui leader, sui partiti, sui sindacati o sui media e sappiamo che il nostro futuro e quello dei nostri discendenti è solo nelle nostre mani. Non resta che augurarci reciprocamente buon lavoro e mettersi all'opera.

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