di Giovanni Gnazzi

In attesa di vedere se l'agonia del processo breve diventerà l'inizio della nuova campagna elettorale, sembrano momentaneamente sospese le guerre condominiali nella destra italiana che ci hanno dilettato sotto l'ombrellone. In assenza dei peones alla Camera, l'estate ha visto lo scatenarsi degli gli inquilini dei tricamere (con Servizi?). In origine doveva essere la Casa della Libertà, ma si é capito che è diventata presto la libertà di farsi una casa.

La rissa interna a quello che sembrava solo un progetto politico, ma pare sia diventato anche un grande progetto immobiliare, ha visto infatti nel reciproco rinfacciarsi di operazioni dubbie sulle reciproche residenze, il diritto di cittadinanza della destra più sgangherata e pericolosa mai esistita in Italia. Ad aprire le danze fu Scajola. La sua casa romana, da dove - a insaputa dell’ex-ministro -.è possibile ammirare un notevole scorcio di Colosseo, venne acquistata dal rais di Imperia per una somma con la quale ci compra un bicamere in periferia.

Ma, certamente sempre a sua insaputa, si trovò proprietario di ben altra magione in ben altro quartiere. Sapeva, certo, di abitare in una bella casa nel centro della Capitale, ma non sapeva che qualcuno, per lui, l’aveva pagata. Alla storiella non ha creduto nessuno e Scajola dovette dimettersi; un habituè del gesto, si potrebbe dire, visto che ha reiterato l’uscita anticipata dal gabinetto di governo per la seconda volta nella sua carriera politica. Ormai Scajola lo sa: va al Quirinale in gruppo la prima volta per giurare, ma poi ci torna da solo con le dimissioni.

A Scajola seguirono altri impomatati esponenti della nomenclatura del predellino e dei compari di complemento, stavolta beneficiati direttamente da Propaganda Fide, ente cattolico di assistenza che, effettivamente, non poteva tirarsi indietro di fronte alle esigenze abitative di chi, quotidianamente, cerca di compiacerli legislativamente e dei di loro amici. E via con case bellissime negli angoli più belli di Roma, tutte affittate a prezzi di saldo. Per intenderci: su quelle proprietà il Vaticano non paga ICI e non versa imposte sulle pigioni percepite. Dev’essere per questo che è così generoso con i bisognosi.

Venne quindi il turno di Fini, che è stato coinvolto dai suoi ex-camerati, nell’intreccio della compravendita di un appartamento a Montecarlo. Detto appartamento, ereditato da Alleanza Nazionale, venne venduto ad una società con la quale - oltre ogni ragionevole dubbio - il di Fini cognato, tale Tulliani, giovanotto ambizioso e un tantino rapace, intrattiene stretti rapporti. Al punto che, la stessa società che acquisì l’appartamento, ha ritenuto di doverglielo successivamente affittare. Cosa se ne fa di un’appartamento in affitto a Montecarlo il Tulliani? Niente, per questo lo affitta. Sarebbe più comprensibile se fosse il suo, ma lui, come detto, è in affitto.

Pare che il Tulliani cognato avrebbe ottenuto l’affitto dell’appartamento in questione come premio per la sua mediazione nell’acquisto dello stesso dal tesoriere di AN, così implicando Fini oltre ogni sua eventuale responsabilità nella partita di giro del mattone. Lui però smentisce. Ma alcune domande, certo, andrebbero poste: come mai su sei miliardi di abitanti del pianeta proprio il cognato di Fini tratta una compravendita di una casa appartenente alle proprietà di AN? Come avrebbe potuto sapere dell’appartamento se qualcuno della cupola di AN non l’avesse informato della sua esistenza? E come mai lui, che nella vita svolge tante attività, ma non quella di mediatore (tantomeno immobiliare), lo diventa per l’occasione?

Ma, alla fine, la cosa c’interessa poco. Il tesoretto degli ex-camerati, ove che fosse allocato, non era nelle disponibilità del patrimonio pubblico e lo stesso Presidente della Camera - ammesso che fosse direttamente coinvolto nella vicenda - non pare comunque in conflitto d’interessi con la sua funzione istituzionale. Il Giornale ha tentato in ogni modo, soprattutto con la fantasia livorosa, di coinvolgere l’ormai ex-numero due del PDL. Essendo di proprietà del fratello del Premier, cerca di svolgere al meglio il suo ruolo. Berlusconi del resto, non da oggi, usa come una clava sui suoi avversari politici dossier, ricatti e il giornale di suo fratello.

Successivamente viene messo alla berlina il mutuo spaventoso acceso dal Vice-ministro Urso (ventimila Euro al mese) per pagarsi un’altra magione di pregio a Roma. Urso, autorevole esponente del pensatoio finiano, annuncia querele a Feltri, ribadendo come sia una sua insindacabile scelta quella di pagare un mutuo così pesante. Effettivamente, difficile dargli torto: se dispone di cifre così cospicue, le spendesse pure come vuole.

Ma la madre di tutte le case, neanche a dirlo, resta la villa di Arcore, acquisita de Berlusconi in modo perlomeno spregiudicato e a un terzo del suo valore, ci mancherebbe altro. L’operazione venne gestita da Cesare Previti e questo, da solo, già significa molto. Rimarrà forse alla ex-moglie o, prima o poi, come per il Giornale, l’intesterà al fratello. Morale? Ognuno ha i suoi ex-colonnelli, i suoi fratelli e anche i suoi cognati. Dev’essere questo il senso profondo della difesa dei valori della famiglia.

 

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