di Mariavittoria Orsolato

E’ un Pdl alla resa dei conti quello che sta animando le cronache politiche di questi ultimi giorni. Il divorzio tra l’ala finiana è i fedelissimi del premier non è più un’ipotesi ventilabile, ma una realtà  cui manca solo il suggello definitivo. Il gotha del Popolo delle Libertà, riunito in summit a palazzo Grazioli ha decretato la sua fumata nera sull’offerta di tregua che Fini ha affidato al Foglio: “Resettiamo tutto e fermiamo le tifoserie”, questo il messaggio distensivo del presidente della Camera.

Probabilmente perché il capo non era abbastanza coperto di cenere, nella notte di ieri lo stato maggiore dei berluscones - composto dai tre coordinatori nazionali Bondi, Verdini e La Russa, dai capigruppo alle Camere Gasparri e Cicchitto e dall’immancabile Quagliariello - ha decretato la sospensione per un periodo da tre a sei mesi dei “ribelli” finiani. Non c’è quindi l’espulsione paventata fino a qualche giorno fa e fortemente voluta da Berlusconi, ma solo una “dura censura” che l’articolo 48 dello statuto del Pdl prevede in seno alle risoluzioni dei conflitti interni. Poi si vedrà.

Stando alle indiscrezioni sarebbero ormai venute a mancare le condizioni per rimanere nello stesso schieramento e perciò la “scomunica” è da addebitare esclusivamente al discostamento politico che negli ultimi mesi ha caratterizzato l’atteggiamento dei tre irriducibili Bocchino, Briguglia e Granata. Se però questi ultimi sono da considerasi outsider a tutti gli effetti, sono già 33 i deputati vicini a Fini a voler seguire la sorte (buona o cattiva, de gustibus) dei colleghi di scranno: ad ascoltare le voci provenienti da Montecitorio, c’è già un documento pronto in cui si fa esplicita richiesta per la costituzione di un nuovo gruppo parlamentare.

Ma il desiderio della brigata finiana, nel momento in cui si concretizzasse nello scisma tanto auspicato da entrambe le parti, rischia di creare ben più di un grattacapo a Berlusconi e i suoi. Allo stato attuale la maggioranza di governo è di 341 deputati e 175 senatori a fronte di una maggioranza necessaria, rispettivamente di 316 a Montecitorio e 162 a palazzo Madama. L’ala finiana alla Camera può contare, ad oggi, su 33 deputati: Bocchino, Briguglio, Granata, Raisi, Barbareschi, Proietti, Divella, Buonfiglio, Barbaro, Siliquini, Perina, Angela Napoli, Bellotti, Di Biagio, Lo Presti, Scalia, Conte, Della Vedova, Urso, Tremaglia, Bongiorno, Paglia, Lamorte, Rubens, Menia, Angeli, Ronchi, Moffa, Cosenza, Patarino. A palazzo Madama invece la terza carica dello Stato ha dalla sua almeno una quindicina di senatori.

I numeri per dare vita ad un gruppo autonomo ci sono tutti ed in entrambe le sedi una scissione degli ex An farebbe precipitare i numeri della maggioranza, costringendo il Governo a boccheggiare praticamente su ogni provvedimento da varare. Com’è ovvio il Premier sta già corteggiando nuove comparse provenienti dall’Mpa, dai Liberaldemocratici, dai Repubblicani e dagli autonomisti. Si vocifera che al momento le conquiste del tombeur Silvio siano a quota 5, una cifra comunque insufficiente ad affrontare in sede di votazione la fronda finiana.

Tutto sembra remare contro la longevità istituzionale di Berlusconi e della sua quarta performance governativa: se meno di due settimane fa l’esasperazione e l’insofferenza verso i ribelli  “embedded” aveva spinto a dichiarazioni poco caute e ancor meno lucide sulla possibilità di elezioni anticipate a settembre, il piglio deciso di padron’ Silvio sembra prospettare ora una soluzione diversa. In sedici anni di sopravvivenza giudiziaria il nostro ha dalla sua un cinismo ed un’arguzia che, seppur adombrate dalle modalità illecite con cui vengono praticati, potrebbero portare ad una conclusione ben diversa dalla morte politica che ormai in troppi gli augurano.

In questo momento il Paese si trova in momento di poca lucidità e completo spaesamento di fronte all’inesorabile concatenarsi di scandali politici, economici e sociali - la nuova P2 dei quattro sfigati, tra cui figura anche il coordinatore Verdini, ne è solo l’ultimo e più eclatante esempio - eppure “la massa” appare catatonica, incapace di reagire e far sussultare i cardini di un potere deleterio e apparentemente inesauribile. Se il divorzio da Fini è necessario per Berlusconi, é perché il presidente della Camera, seppur con molto ritardo, si è accorto della deriva che la sua maggioranza sta inevitabilmente imboccando nei confronti del Paese. Come giustamente ha affermato Italo Bocchino in una recente intervista, “la differenza tra Berlusconi e Fini è quel senso di responsabilità che discerne lo statista dal politicante”.

Fini ha dimostrato di aver preso molto sul serio la sua carica e ad ha agito di conseguenza, nel rispetto di quel comandamento istituzionale che impone alle cariche dello Stato l’imparzialità e il senso critico, necessari a mitigare lo scontro politico. Il suo è un richiamo all’etica, alla trasparenza e a lavorare per i problemi del paese, che di certo non sono le intercettazioni telefoniche né tanto meno gli scudi giudiziari per gli “amici di”.

Un contraltare così ingombrante, e per giunta in casa, è ovvio che abbia mandato fuori dai gangheri il premier e le sue velleità da ducetto. La separazione, a questo punto, è un’obbligo; resta da vedere se sarà consensuale o se quella a cui stiamo assistendo si rivelerà a breve un capolavoro di sgambetti come nella migliore “guerra dei Roses”.

 

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