di Rosa Ana de Santis

Oltre 90 mila documenti top secret sono finiti nelle mani di tutti e la rete dei rapporti e delle operazioni di intelligence sullo sfondo della guerra dell’oppio è sempre più chiara. Wikileak, il sito della clamorosa fuga di notizie, ha sgombrato il campo della retorica politica dalla teoria della guerra necessaria o dalla versione italiana e tutta televisiva della pace armata. La guerra della tv ha svelato i suoi cadaveri nascosti. Le operazioni militari mai raccontate, i dossier scomodi, le liberazioni osteggiate e le stragi taciute. Molti i documenti che riguardano casa nostra.

Obama rilancia con la consueta strategia della paura nazionale, diffonde l’allarme per la minaccia che ora incombe sulla sicurezza degli americani, mentre il Pentagono prepara la maxi inchiesta. Ancora più difficile spiegare questo lato marcio della guerra in Afghanistan in Italia, dove l’occupazione militare è passata alla cronaca ufficiale esclusivamente come operazione di difesa.

L’intolleranza popolare al sacrificio dei nostri caduti non è troppo lontana dalla denuncia della morte ingiusta degli innocenti afghani. Questa guerra è per tutti, qui, un orrore insopportabile, ma necessario. Non c’è ardore nazionale, né patriottismo all’americana ad alimentarne la difesa. E’ questo forse a spiegare il nervosismo che il nostro Ministro della Difesa ha spesso trattenuto a fatica, anche davanti alle telecamere, a chiunque gli ricordasse quanto lunga e penosa fosse la conta dei morti. Da tutte le parti.

La prima bugia è quella dei militari e dei rinforzi inviati. Non andava detto pubblicamente, questa la condizione posta dall’Italia, ma dovevano aumentare. E poi la lista degli incidenti, delle stragi e della propaganda di cui non abbiamo letto da nessuna parte. Il caso più clamoroso, tra i dossier svelati, è quello del rapimento del giornalista Daniele Mastrogiacomo. Una liberazione voluta a tutti i costi dal governo e considerata un pericoloso precedente dal governo estone per lo scambio che l’Italia decise di fare con i prigionieri talebani, utilizzando come mediatore Rahmatullah Hanefi, manager dell’ospedale di Emergency a Lashkar Gah, subito dopo arrestato. Compaiono inoltre numerosi casi documentati di incidenti, finora ignoti, avvenuti nella provincia di Herat durante le operazioni militari di routine delle nostre truppe.

Esce molto rafforzata, invece, l’immagine di Emergency. L’unica ad aver sempre raccontato la guerra in Afghanistan tutta intera, senza censure. Una Ong, come si legge nelle carte, divenuta insopportabile per gli americani. Così Gino Strada, il suo fondatore, il pacifista ingenuo dalla dialettica poetica, diventa l’icona della denuncia della vera guerra. Di quella più cruda e più spietata. Quella che non abbiamo visto, né letto. Processi sommari a qualsiasi talebano, uccisioni di massa, collaborazioni scomode tra servizi segreti pakistani e talebani, distruzione di mine italiane affinché non cadessero in mani talebane. Mine, proprio loro. Dopo anni di messa al bando tornano nella semina della morte e della mutilazione. Quella che i medici di Gino Strada guardano in faccia ogni giorno.

Wikileak assicura che non sono a rischio i paesi coinvolti o le loro truppe. Non sono state svelate posizioni e riferimenti sul territorio. Ma il piatto della guerra giusta è avvelenato. E il danno agli interessi sporchi che vi sono dietro, forse, è ben più grave. Il pericolo è una guerra che non doveva cominciare e che deve rapidamente finire. Una guera che incombe anche su tutti i morti senza divisa che avremo ancora e che ancora saranno seppelliti di notte, al riparo delle nostre coscienze.

Al nostro Ministro della Difesa spetterebbe il compito di accompagnare le sue dimissioni con due parole di spiegazione che tolgano il disturbo dell’imbarazzo televisivo finora dissimulato. Va detto agli italiani che siamo andati in guerra. Un conflitto che non è più pulito di altri, che è marcio negli scopi e che si nutre della solita propaganda di guerra. Che manda a morire i “nostri ragazzi” come li chiama il Ministro negli spot, sapendo benissimo di non mandarli in alcuna missione di pace. Una guerra che non risparmia donne e bambini, che non conosce e riconosce divise e nemici, ma che è lì per conquistare tutto. Dalla terra al cielo. Una razzìa che non ci rende più buoni o meno colpevoli degli altri. Le nostre mine e i nostri fucili uccidono come quelli di tutti. Solo che finora non lo abbiamo raccontato a nessuno. E un fatto non raccontato, semplicemente sembrava non fosse accaduto.

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