di Giovanni Gnazzi

Da nove a sette. Il giudizio della Corte D’Appello di Palermo ha ridotto così di due anni la pena per Marcello Dell’Utri erogata precedentemente dalla Corte D’Assise. Questa riduzione di pena, per il PDL, è stata l’occasione per esprimere solidarietà sincera al Senatore, strettissimo collaboratore del Presidente del Consiglio. La condanna si riferisce all’attività svolta dall’ex fact totum di Pubblitalia prima del 1992. Non è un’assoluzione, tutt’altro. Ma al predellino va bene comunque.

Perché importa poco che la condanna sia comunque pesante per concorso esterno in associazione mafiosa. E non si comprende nemmeno, dal momento che la stessa si riferisce a vicende che si fermano nel 92, come mai il partito nato due anni dopo si senta felice per la notizia. Perché se è vero che la nascita di Forza Italia non viene scalfita, è altrettanto indubitabile che uno dei suoi fondatori era comunque colluso con la mafia.

Al PDL interessa ancor meno che sia una sostanziale conferma del primo grado di giudizio, pur con una riduzione di due anni di carcere. Carcere che, meglio precisare, Dell’Utri non vedrà mai. Sia perché Senatore, quindi coperto dall’immunità parlamentare, sia perché i reati sono già caduti in prescrizione.

A nessun cittadino “normale” verrebbe in mente di festeggiare due sentenze che lo individuano come associato esterno a Cosa Nostra, ma il senatore bibliofilo è comunque soddisfatto. Esulta Capezzone, che per lavoro e vocazione stabilisce h24 colpevoli e innocenti di fronte alla giustizia, diffondendo lui assoluzioni e condanne ai magistrati che giudicano. Il discrimine è semplice: chi condanna è “toga rossa”, chi assolve è magistrato.

Dunque, il senatore che ha definito Mangano, lo stalliere di Arcore condannato per duplice omicidio e associazione mafiosa, “un eroe”, ha motivo di ritenersi soddisfatto dalla sentenza che definisce “pilatesca”, prima di esprimere le sue “condoglianze” al procuratore Gatto. A dire il vero tanto pilatesca non è, essendo, infatti, una sentenza di condanna e non un’assoluzione per insufficienza di prove, formula del resto ormai non più in vigore. Se per pilatesca s'intende una sentenza che smonta in buona parte le tesi dell'accusa, significativamente la relazione tra Cosa Nostra e Forza Italia, ha ragione. Ma che lui sia condannato per associazione mafiosa, almeno questo, é chiaro.

Dice anche con chiarezza che il ruolo di Dell’Utri è quello di un fidato intermediario tra Cosa Nostra e i poteri economici del nord, in particolare quelli emergenti, significativamente quello di Silvio Berlusconi. Ma certo non sono pochi i dubbi che la sentenza pone e non é affatto detto che la lettura delle motivazioni sarà in grado di dissiparli.

Dell’Utri, infatti, che scemo certo non è, ha molte ragioni per rallegrarsi. Perché stabilire - non si sa con quale precisione possibile - che la sua attività mafiosa finisca nel ’92, significa escludere dalla vicenda processuale - e, in qualche misura storica - la nascita di Forza Italia, che data ufficialmente il 1994.

Ma forse, la soddisfazione di Dell’Utri risiede altrove: nella consapevolezza che non sia stato ritenuto credibile il pentito Spatuzza e, con lui, il figlio di Vito Ciancimino; cioè le due figure di collaboratori di giustizia sulle quali si poggiano le ricostruzioni storiche e giudiziarie dell’attività del principale partito italiano. E, ancor più, dell’origine delle fortune del suo fondatore e padrone, Silvio Berlusconi.

E ritenere i due principali teste d’accusa poco credibili, significa mettere fortemente in dubbio l’operato delle procure siciliane, che sulle dichiarazioni dei due pentiti hanno costruito la sostanza dell’impianto accusatorio che vede Forza Italia almeno come interlocutore privilegiato - se non come referente politico diretto - degli interessi di Cosa Nostra, ormai orfana del Palazzo a seguito della dipartita accelerata di DC e PSI, spazzati via dall’inchiesta Mani Pulite.

La sentenza di Palermo è quindi una buona notizia sia per il Senatore imputato sia per il suo presidente. Che poi ci si possa ritenere soddisfatti di due sentenze che vedono conclamata la certezza dell’operato in nome e per conto di Cosa Nostra è questione che solo in Italia e solo nel PDL può risultare degna di soddisfazione invece che vergognosa.

Ma la sentenza d’Appello  è anche la dimostrazione che, se si vuole inchiodare alla responsabilità storica il percorso torbido della Seconda Repubblica, sarà bene attrezzarsi con la politica, giacché la magistratura non riesce a vincere, non riuscendo a mettere in piedi un’inchiesta con materiale probatorio d’evidenza superiore - o comunque che vada ben oltre - alle parole dei pentiti. E Cosa Nostra può brindare e tornare al tavolo della trattativa. Questa è la vera sentenza.

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