di Mariavittoria Orsolato

Delle tante bordate alla concorrenza televisiva, dall’aumento dell’iva a Sky alla sottrazione del bouquet satellitare Rai, quella degli incentivi statali all’acquisto del decoder per il digitale terrestre fu sicuramente la madre. Correva l’anno 2004, la legge Gasparri superava il secondo assalto al Quirinale e introduceva un bonus di 150 per tutti coloro i quali avessero scelto lo scatolotto DVB-T anziché la parabola; la mossa si ripeteva poi nella finanziaria dell’anno successivo con un importo però ridotto a 70 euro.

In molti allora storsero il naso - primo fra tutti l’ex capo di Stato Carlo Azeglio Ciampi - soprattutto perché lo scatolotto a marca Amstrad, promosso con sì tanta solerzia dall’esecutivo, altro non era che un prodotto importato in esclusiva della Solari.com, una società a responsabilità limitata controllata al 51% da Paolo Berlusconi e dalla figlia di primo letto Alessia, attraverso la finanziaria Paolo Berlusconi financing (Pbf). Il palese conflitto d’interesse restò però impunito e i 220 milioni di euro (110 all’anno) preventivati della finanziaria, vennero regolarmente indirizzati nelle tasche del Berlusconi che solitamente va in prigione.

Allora i “maligni” affermarono che la clausola presente nella Gasparri era una sorta di risarcimento al fratello minore ed un sicuro sgambetto alla nemesi catodica Rupert Murdoch. Oggi, sei anni dopo, sono i giudici della Corte di Giustizia europea a dare nuovamente ragione di queste voci, sentenziando in primo grado che “gli auti di Stato sono stati erogati in modo illegittimo dal Governo” e comminando una multa a Mediaset pari all’importo tolto al bilancio statale, interessi esclusi ovviamente. La sentenza conferma quella emessa nel 2007 dalla Commissione Ue, pronunciamento contro cui Mediaset aveva ricorso appellandosi al fatto che del digitale terrestre il Biscione non è l’unico usufruttuario.

Il ricorso è stato però respinto in quanto nella pratica della sovvenzione statale sono assenti i requisiti di neutralità espressamente richiesti: gli incentivi statali andavano infatti a favorire solo una parte degli operatori televisivi (quelli che appunto hanno scelto la piattaforma digitale, imbarcandosi sul carro di quello che allora pareva il vincitore) ledendo al contrario i soggetti assestati sulle trasmissioni satellitari che, in quanto fruitori di una tecnologia diversa, non hanno avuto diritto agli aiuti.

Mancando di neutralità, il provvedimento varato dal secondo governo Berlusconi, inficiava le regole del mercato comune e della legittima concorrenza: un privato che fosse stato nel dubbio sulla scelta della nuova tecnologia da acquistare per il proprio televisore, avrebbe giustamente proteso per quella incentivata, anziché spendere una cifra superiore per quella a prezzo pieno.

Recita in proposito la sentenza: “Gli aiuti pubblici hanno incitato i consumatori a passare dal sistema analogico a quello digitale terrestre, limitando al tempo stesso i costi che le emittenti televisive digitali terrestri avrebbero dovuto sopportare e, dall’altro, ha consentito alle emittenti medesime di consolidare, rispetto ai nuovi concorrenti, la loro posizione sul mercato”.

Da Cologno Monzese annunciano però un secondo ricorso, dal momento che i contributi sull’acquisto sono stati erogati direttamente ai consumatori “mentre la rete non ha avuto nessun vantaggio materiale”, cosa che però ben due sentenze europee smentiscono categoricamente. Dal Ministero per lo Sviluppo Economico, retto ora ad interim dallo stesso Premier e oggetto dell’ennesimo conflitto d’interesse, una nota fa sapere che “in base alla decisione della Commissione europea sull'aiuto di Stato C52/2005 relativo al contributo per l'acquisto di decoder digitali (…) in data 4 febbraio 2009 la società Rti ha adempiuto a tale richiesta versando allo Stato italiano l'importo di euro 6.013.855,49”. Ne mancherebbero ancora 140 di milioni e, a quanto statuisce la Corte di Giustizia europea, ora lo Stato ha solo due mesi di tempo per adempiere alla sentenza e recuperare il maltolto dalle tasche degli italiani, soprattutto dei molti che del decoder di casa Berlusconi non ne hanno nemmeno voluto sentir parlare.

Sulla carta l’operazione sembra facile, ma dal momento che il risarcitore è formalmente a capo del soggetto da risarcire, viene spontaneo chiedersi se la gerachia delle fonti giudiarie, qui in Italia, abbia ancora un senso di fronte ad un conflitto d’interessi che assomiglia sempre di più ad una metastasi per il nostro sventurato Paese.

 

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