di Laura Viviani

Ventitre anni fa l’80% degli italiani si schierarono contro le centrali nucleari. Un no secco e deciso. Il 23 luglio 2009 il governo ha emanato però una legge che, tra le altre cose, prevede la reintroduzione del nucleare in Italia. Il provvedimento aveva come buon proposito quello di dare uno scossone all’economia del nostro paese, così è stata motivata la scelta nucleare. Il Governo comunque non ha ancora reso noto il suo piano nucleare, molto probabilmente si pronuncerà solo dopo le elezioni regionali. Un tema troppo scottante per discuterne in campagna elettorale? Pare proprio di sì, tanto che Legambiente e Greenpeace hanno lanciato un appello a tutti i candidati alla carica di governatore regionale affinché si esprimessero in modo chiaro e deciso sulla questione del nucleare.

Sono tredici le regioni chiamate al voto domenica 28 e lunedì 29 marzo: Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Lazio, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria. La campagna elettorale televisiva, la più incisiva, non è delle più accese, dato che i riflettori dei maggiori talk show di approfondimento politico sono stati oscurati con forza dai dirigenti Rai. Il dibattito politico è stato così rilegato ad una comunicazione politica vecchio stile. Tribune politiche soporifere che altro non sono che delle vetrine per i candidati che, indisturbati, ripetono ai cittadini le linee guida studiate a tavolino dai partiti. Il ruolo di garanzia informativa che il giornalista dovrebbe rappresentare per i cittadini viene assolutamente cancellato. Sarà il cittadino che, suo malgrado, dovrà fare un bel po’ di sforzi in più per conoscere e capire i programmi dei candidati e, per esempio, le loro posizioni sulla riapertura del governo all’energia nucleare.

Approvata il 23 luglio 2009, la legge 99, dal titolo "Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia", contempla appunto la reintroduzione del nucleare in Italia e affida al governo la decisione ultima in merito alla localizzazione delle centrali, degli impianti per la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi e per lo smantellamento degli stessi. Potere decisionale che contrasta con quanto stabilito dal Titolo V della Costituzione sui poteri concorrenti delle regioni in materia di governo del territorio.

Solo i presidenti di regione avranno la possibilità di opporsi alla costruzione di centrali, come peraltro hanno già fatto undici regioni che hanno presentato ricorso alla Corte costituzionale ed è quindi essenziale sapere cosa hanno dichiarato riguardo l’utilizzo dell’energia nucleare gli ipotetici governatori.

I candidati di centro sinistra si schierano apertamente per il no al nucleare. Mercedes Bresso, governatore uscente della regione Piemonte, si dice “contraria a questo nucleare ma a favore della ricerca”, dato che ha finanziato studi sulla piccola fusione nucleare. Sì quindi ad un nuovo tipo di nucleare se esiste, ma non a quello che il presente ci offre. Sulla stessa lunghezza d’onda il candidato del Pd per la Lombardia, Filippo Penati, che afferma che solo tra 25 anni sarà possibile intravedere una prospettiva che induca a valutare il ritorno alla tecnologia atomica, ma “oggi questo nucleare non ci serve: non porterebbe neppure lavoro alle aziende italiane”. Più di un candidato esprime preoccupazione per la volontà del governo di scavalcare la competenza delle regioni nella sua scelta di consentire o meno l’impianto di centrali nucleari sul territorio.

Piuttosto indecisi i candidati dell’Udc. Savino Pezzotta, candidato in Lombardia, non accenna all’argomento nel suo programma di governo, ma a domanda diretta risponde che “servono maggiori certezze sulla sicurezza del nucleare, anche se noi siamo tendenzialmente favorevoli”.  Di opinione opposta il suo collega di partito in corsa nel Veneto, Antonio De Poli, che attacca il suo avversario Pdl Luca Zaia: “Zaia tace perché sa sul nucleare, perché siede in Consiglio dei Ministri. Parlerà quando potrà farlo senza perdere voti. Non ha un compito difficile, il ministro Zaia. Deve solo dire, come dico io: se sarò governatore mi opporrò con tutte le forze ad una centrale nucleare in Veneto”.

De Poli centra il nocciolo della questione e le relative perplessità che scaturiscono dalle dichiarazioni della maggior parte dei candidati Pdl. Non si schierano contro la decisione del governo di reintroduzione del nucleare ma, vuoi l’autosufficienza a livello energetico, vuoi le condizioni sfavorevoli a livello territoriale, non vogliono il nucleare nelle loro regioni. Roberto Formigoni (Lombardia), Renata Polverini (Lazio), Luca Zaia (Veneto), Sandro Biasotti (Liguria), Monica Faenzi (Toscana), Fiammetta Modena (Umbria), Erminio Marinelli (Marche), Stefano Caldoro (Campania), Rocco Palese (Puglia), Giuseppe Scopelliti (Calabria): sono loro i candidati che hanno scelto la posizione più comoda, quella definita con l’acronimo NIMBY, dall’inglese “non nel mio cortile”. In parole povere: sì al nucleare perché fa risparmiare, ma non nella mia regione perché i cittadini non lo vogliono. La posizione più chiara è quella di Roberto Cota, Pdl, che appoggia il nucleare anche nel suo Piemonte, perché pensa che “il nucleare sia una fonte di energia pulita”.

Merita una riflessione la scelta del governo di non rivelare i possibili siti prescelti per il nucleare. Si emana una legge, la si vota in Parlamento, ma non si comunica ai cittadini se si vogliono costruire le centrali nelle loro regioni, perché si ha paura di perdere voti. Ci si chiede come si possa relegare il nucleare ad un tema di scarsa importanza di cui non si parla, di cui non si deve dire, anziché essere chiari con i cittadini che devono ragionare ed essere consapevoli delle loro scelte di voto.

 

 

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