di Rosa Ana De Santis

La macchina della verità si muove lenta, a piccoli passi. Ma va avanti, inesorabile. Siamo alla relazione conclusiva dell'inchiesta sull'efficacia, l'efficienza e l'appropriatezza delle cure prestate a Stefano Cucchi, che mette un altro tassello in un puzzle impazzito, i cui pezzi escono a singhiozzo tra una lettera nascosta, una seconda autopsia e il silenzio colpevole di tutti i protagonisti. Mentre una famiglia semplice non si arrende.

La storia è già grande, forse infinita come altre simili, ed è tutta sulle spalle di un giovanissimo ed esile ragazzo morto in modo violento e senza motivo nelle mani dei nostri poliziotti e nelle stanze di un ospedale pubblico. Da raccontare c’è lo Stato sul banco degli imputati e il motivato imbarazzo delle Istituzioni. La Commissione ha votato all’unanimità la relazione finale che sarà inviata alla Procura di Roma e al Presidente Schifani e Ignazio Marino rilascia le prime dichiarazioni che non lasciano scampo.

Stefano Cucchi aveva lesioni traumatiche su tutto il corpo, ma è morto per disidratazione e per l’eccessiva perdita di peso. Dieci chili in 6 giorni nella speranza di lanciare un messaggio di protesta e di avere attenzione dai legali o dagli operatori della Comunità. Un messaggio occultato deliberatamente, una famiglia tenuta all’oscuro e un’attenzione dalle autorità che è arrivata solo quando Stefano era in una bara. L’altro dato che emerge chiaro dalla relazione conclusiva sanitaria è che la rianimazione operata sul corpo di Cucchi è arrivata dopo qualche ora dal decesso.

Il simbolo irrimediabile di un abbandono fisico ed emotivo e di un accanimento complessivo di violenze in cui il giovane detenuto è stato lasciato per giorni. Senza che qualcuno riesca ancora a spiegarne il perché, ammesso che ce ne siano. Il quadro indiziario si compone così di lesioni inferte da parte di chi aveva in custodia Stefano, dato che al momento dell’arresto non ne aveva, e di abbandono da parte dell’ospedale che avrebbe dovuto curarle. Un’unione maledetta che l’ha ucciso. L’indagine della Commissione d’Inchiesta può rafforzare il lavoro della Procura e dare coraggio ad  un’inchiesta che corre il grande rischio di non arrivare alla verità.  Il tutto è stato riassunto in sette punti di criticità.

Le lesioni sono recenti e le “ecchimosi palpebrali sono state probabilmente prodotte da una succussione diretta delle due orbite”. Il ricovero è stato deciso con quattro ore di ritardo. L’ortopedico si è limitato ad una consulenza telefonica. La cartella clinica non ha seguito adeguatamente il paziente nei suoi spostamenti. La decisione del ricovero definitivo presso la struttura protetta del Pertini rimane difficile da ricondurre a valutazioni sanitarie. Non da ultimo, il primario non ha mai visitato il paziente ormai diventato grave, non sono state adottate misure diagnostiche eccezionali come il caso avrebbe necessitato e, infine, sul posto dove è morto Stefano, mancavano  supporti per la rianimazione.

Come ribadisce la senatrice radicale Donatella Poretti, nel commentare la votazione del Senato, emerge chiaramente il ritratto di un detenuto malmenato in sciopero della fame e della sete. E lasciato morire senza alcun tentativo di accogliere la sua protesta, anche solo per poterlo salvare. Qualche giorno fa quando a morire era stato il dissidente cubano  Orlando Zapata l’indignazione aveva cosparso i nostri giornali di retorica. Facile fare i titoli di accusa contro Cuba “carnefice”.  Ma il caso italiano non è meno feroce, anzi.  Stefano in ospedale era arrivato in tempo per esser salvato, ma le ragioni “cautelative” - come dichiara Marino - hanno prevalso su quelle “sanitarie”. Una scelta ignobile e di cui è davvero difficile trovare la coerenza quando quegli stessi medici invece, stando a quanto ha tuonato il governo, non avrebbero dovuto lasciar morire Eluana nonostante le sentenze del Tribunale.

La storia di Stefano denuncia il dato grave per cui in Italia le condizioni di salute di un detenuto non valgono come quelle di un cittadino libero e le omissioni dei medici unite alle violenze delle divise lanciano una pesante ombra di sospetto sullo Stato. Sulle sue braccia. Quelle che Stefano l’hanno picchiato duramente, quelle che non l’hanno salvato portandogli in stanza un familiare, un legale, un operatore della sua comunità. L’acqua che lo avrebbe salvato. Un bicchiere di umana giustizia.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy