di Rosa Ana De Santis

I respingimenti voluti dal governo non hanno fatto scendere i numeri degli irregolari e hanno invece leso diritti umani e politici. Non è questione di propaganda politica, ma di numeri. La fruibilità del diritto d’asilo, che sarà bene ricordare figura nei dodici principi fondamentali con cui si apre la Costituzione Italiana, è in brusca diminuzione. A dirlo è Laurens Jolles, rappresentante dell’Unhcr per l’Europa meridionale. Le cifre parlano fin troppo chiaro: se nel 2008 le domande giunte all’Italia erano 30.492, nel 2009 sono state 17.603. Nel resto d’Europa i numeri sono invece rimasti stabili, mentre in Francia e Germania sono persino aumentati. Segno che l’inversione di rotta politica è tutta italiana e di questo governo.

Quello che accade tra l’Italia e la Libia e i respingimenti in mare hanno portato a questo. Tutti i respinti nel maggio 2009 erano richiedenti diritto d’asilo. Probabilmente non tutti avrebbero avuto i requisiti per averlo, ma il respingimento indiscriminato ha leso un diritto riconosciuto senza alcuna verifica di merito, rispondendo soltanto all’ossessione di sgombrare le coste e i centri di espulsione. I paesi da cui queste persone fuggono continuano ad essere quelli di sempre. La Somalia, ad esempio, da cui sono scappati l’anno scorso, dalla sola Mogadiscio, 250 mila civili per gli attacchi sferrati dai gruppi armati. Così la Libia e il suo regime “amico” del nostro Berlusconi o l’Eritrea. Eppure gli sbarchi sono calati drasticamente. Segno evidente che qui il diritto d’asilo non esiste. Soltanto l’anno scorso il 50% delle domande sono state accolte. Tutte persone che oggi rimangono in mare o vanno altrove.

L’Alto commissariato Onu per i rifugiati, numeri alla mano, obbliga ad una riflessione che in realtà la cronaca già ci ha messo sotto gli occhi. La fotografia che possiamo fare su tutti i nostri immigrati, quale che sia la causa della loro diaspora, è che possono rimanere qui ed essere tollerati da un clima culturale che non li vuole, ma ne ha bisogno, a patto che siano invisibili. E per essere invisibili, devono rimanere clandestini. Sostare stagnanti nell’illegalità. E’ così che Rosarno non è un fattaccio isolato di cronaca, ma un paradigma di comportamento generalizzato. E’ così che si può lasciare sommerso il razzismo e svenderlo come un’esagerazione di qualcuno, non come una scientifica e organizzata opera del male.

Pensiamo a Mantova e alla squadra degli skinhead. Ed è così che lo sciopero delle braccia dei lavoratori stranieri nessuno l’ha visto né sentito, come se fossero in pochi, pochissimi a lavorare per noi o al posto nostro. Talmente invisibili che nemmeno i loro figli a scuola e il loro diritto di studio vale di più del diritto di “tutelare” il territorio dall’immigrazione clandestina. Se persino i minori non ricevono una speciale tutela, soprattutto pensando che proprio da loro può partire un serio tentativo di costruire l’integrazione, il capolavoro è fatto.

Per quanto non sia consolidata la giurisprudenza su questi temi, il dato chiaro che emerge e che evidenzia in un intervento di commento alla sentenza della Cassazione Gianfranco Schiavone, membro del Consiglio direttivo dell’Asgi (Associazione italiana studi giuridici sull’immigrazione), è che è lo status di straniero a prevalere su qualsiasi altro diritto. L’espulsione è l’azione da privilegiare. A danno di Convenzioni Internazionali e di diritti costituzionali.

L’isolamento italiano è consumato. Una lingua di terra protesa nel mare che rifiuta il linguaggio dell’accoglienza. Quello che del mare è figlio. Un paradosso che disegna bene i contorni incerti di questo Paese. Un paese di vecchi che i figli numerosi ha preferito cacciarli via. Con le loro cartelle, con i genitori che lavorano per noi. A molti di questi non abbiamo permesso nemmeno di chiederci aiuto. Solo perché come scriveva nel secolo scorso Max Frisch sull’immigrazione, “cercavamo braccia, e sono arrivate persone”.

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