di Giovanni Gnazzi

Si chiama Milioni, Alfredo Milioni. Per combinazione freudiana presenta lui le liste del PDL per la provincia di Roma. O meglio, così dovrebbe essere, perché galeotto fu un panino. Così, almeno, racconta la versione romanzata della figuraccia che i berluscones hanno guadagnato nella presentazione della lista. Vuoi il panino, vuoi il ritardo, vuoi la rigidità della norma, il fatto è che arrivano tardi, fuori tempo massimo; comunque oltre i limiti stabiliti dalla legge che disciplina modalità e tempi per la consegna regolare delle liste elettorali. Il perché è ancora tutto da chiarire.

Rotondi, una delle menti più lucide della destra, parla d’idiozia e d’incapacità diffusa. Berlusconi è furioso. Lo stesso La Russa si dice affranto da tanta leggerezza, ma rimanda al dopo voto la resa dei conti interna. La vicenda, effettivamente, di per sé racconta di un’imperizia al limite dell’idiozia. Di dilettantismo spinto oltre ogni limite, di mancanza di capacità amministrative inquietanti per chi si candida a governare. Se nemmeno un minimo atto formale - per quanto delicato - riescono a fare senza danni, chissà che farebbero amministrando una regione.

Ma che sia imperizia o altro, che sia allergia certificata alle norme, qualsiasi esse siano; che sia una manifestazione indiretta di arroganza politica, che fa pensare di essere al di sopra delle norme e delle leggi (tendenza non proprio nuova, va detto), il fatto genera ilarità. I peones del cavaliere ora urlano, strepitano; gli ex-fascisti parlano di golpe (sono intenditori della materia) e invocano l’intervento del Capo dello Stato, che ovviamente è costretto a ricordargli, con aplomb istituzionale, che le funzioni costituzionali del Colle niente hanno a che vedere con quelle dei tribunali.

Ma sarebbe più interessante vedere davvero cosa c’è in quel panino. E scoprire, per esempio, che la compilazione della lista è stata una battaglia interna con feriti e abbandonati. Che sulla lista laziale del PdL si sono incrociate le lame dello scontro interno alla destra. Vittima designata proprio la stessa Polverini, fortemente voluta da Gianfranco Fini e per suo conto colpita più volte. Intendiamoci: Renata Polverini avrà comunque la lista sua, quella di Storace e quella dell’UDC di Casini a sostenerla, con i loghi ben in vista. Sono proprio Storace e Casini, infatti, che più hanno da guadagnare dall’assenza del logo del PdL sulla scheda; gli elettori di destra che decideranno di votare Polverini, con lei voteranno infatti i consiglieri regionali delle liste apparentate regolarmente presenti sulla scheda. E forse, in quel panino, c'era l'ultimo gesto disperato destinato a cambiare la composizione di quella lista.

Casini, opportunamente, ricorda con un po’ di perfidia che “non basta salire su un predellino per fare un partito: si deve saper fare politica”. Anche in Lombardia qualche problema c’è: Formigoni vede rigettare la propria lista dal Tribunale e, anche al Pirellone, il segno di un conflitto interno appare ben visibile. Non è un caso, insomma, se anche il Giornale di famiglia sia andato giù contro il suo stesso partito con espressioni violentissime che non lasciano margini d’interpretazione sullo scontro interno al PdL.

Il centrosinistra, Bonino in testa, ritiene naturalmente che ogni forzatura rappresenterebbe una palese violazione della legge e che, per ciò stesso, renderebbe illegale la campagna elettorale. Chiede dunque alla politica di fare un passo indietro e lasciare che la Corte D’Appello, alla quale si è rivolta il Pdl con un ricorso, decida senza subire pressioni. Posizione ineccepibile sul filo della logica politica, certo. Ma, aldilà dell’impossibilità di spiegare alla destra italiana che le funzioni della magistratura vanno rispettate e che la divisione dei poteri non è l’architettura complottistica di un regime khmer, sarebbe comunque auspicabile vedere la loro lista presente sulla scheda elettorale.

Sarebbe opportuno, da parte del centrosinistra, un appello all’ammissibilità della lista del PdL. L’assenza della loro lista li ricompatterebbe contro un presunto “nemico”, sia essa la “burocrazia” o la sinistra. La presenza della lista risulterebbe, invece, un’arma micidiale rivolta contro se stessa. Perché trasferirebbe all’interno del PdL il conflitto, facendo emergere le diverse opzioni che, nel quadro di una guerra intestina senza ormai più fronzoli, otterrebbe la deflagrazione del gruppo dirigente berlusconiano a Roma e non solo a Roma. E alla fine perché una sconfitta possibile della destra - e certo dopo questa prova di credibilità più probabile - ha bisogno di essere vissuta fino in fondo, senza alibi e senza polemiche e scontri che partirebbero dal non riconoscimento del risultato elettorale. L’ingovernabilità che ne seguirebbe metterebbe a dura prova la convivenza civile nella regione.

Se pure con la sua lista la destra perdesse, la resa dei conti interna sarebbe violentissima; se anche vincesse, le scorie della campagna elettorale peserebbero moltissimo al suo interno sin dal giorno dopo. O sconfitta o vittoria di Pirro, insomma. Per una volta, sarebbe opportuno batterli con quella lungimiranza politica che distingue, come sempre, l’intelligenza dall’arroganza. Le idee, a volte, valgono più dei Milioni.

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