di Nicola Lillo

Il Pdl non si è fatto attendere. Mentre si discute di “processo breve” (o meglio “morto”), di leggi e leggine pronte per il Cavaliere, la proposta di legge costituzionale per la reintroduzione dell’immunità parlamentare è stata presentata. Chi meglio di Margherita Boniver avrebbe potuto avanzare un simile “privilegio medioevale”? La “bonazza” o “biondazza” che dir si voglia, come disse a suo tempo Bossi, è la stessa che nonostante avesse criticato, nel 1993, l’abolizione dell’autorizzazione a procedere, al momento del voto sulla legge, in prima lettura votò a favore del nuovo articolo 68, mentre al momento della sua approvazione definitiva, in seconda lettura come prevede la Costituzione, si assentò. Non è chiara la linea di pensiero della Boniver, né la sua coerenza (cosa labile nella politica italiota).

L’ex craxiana, poi andreottiana e poi ancora berlusconiana, dichiara che “l'immunità, che esiste in molti ordinamenti europei, nonché al Parlamento europeo rappresentava uno dei pilastri della Costituzione italiana. Fu cancellata con un incredibile atto di vigliaccheria dall'Assemblea di Palazzo Madama nell'ottobre del 1993 in un clima di pesante intimidazione. La proposta di legge, composta di un solo articolo, ripristina un istituto volto a tutelate l'interesse della collettività, prevenendo eventuali condizionamenti del potere giudiziario sullo svolgimento della dialettica politica”.

Innanzitutto è bene far notare come storicamente i Parlamenti si siano battuti per garantire la protezione dei propri membri da azioni giudiziarie sostenute dal potere esecutivo. La ratio dell’immunità parlamentare nei moderni Stati democratici, consiste nella protezione del parlamentare da iniziative proprie di un giudice e nella tutela della composizione numerica dell’assemblea. Sono sicuramente principi virtuosi, che rispettano i principi dello stato di diritto, su tutti la tripartizione dei poteri e che devono al tempo stesso essere bilanciati con il principio, anch’esso fondamentale, di uguaglianza.

Oggi ogni parlamentare gode di una serie di immunità, secondo l’art. 68 della Costituzione. Le immunità sono di due tipi: l’insindacabilità, secondo la quale i parlamentari per come votano e per ciò che dicono “nell’esercizio delle loro funzioni” non possono essere in alcun modo chiamati a rispondere; e l’inviolabilità, per la quale i parlamentari non possono subire alcuna forma di limitazione della libertà personale, a meno che la camera di appartenenza non la autorizzi. Autorizzazione che viene dunque dagli stessi colleghi che, il più delle volte, cercano di difendere i compagni di seduta e se stessi. Ci sono eccezioni all’inviolabilità. Infatti, se il parlamentare è colto in flagranza di reato o se ha subito una condanna passata in giudicato, non deve passare al vaglio della Camera di appartenenza.

Questa è la disciplina risalente alla revisione costituzionale del 1993, votata il 12 ottobre dalla Camera con 525 sì, 5 no (tra cui Sgarbi) e un astenuto. Il Senato farà altrettanto il 27 ottobre con 224 sì, 7 astenuti e nessun no. In precedenza occorreva un’autorizzazione anche solo per procedere contro un parlamentare. Tale revisione fu frutto dello scandalo Mani Pulite, che portò alla richiesta da parte dell’opinione pubblica di una vera e propria uguaglianza, e di superamento di questo privilegio, abusato, da parte dei parlamentari. Uno strumento necessario esclusivamente a sottrarsi al corso naturale della Giustizia.

Se poi guardiamo all’Europa, ci accorgiamo di essere il solito unicum. In Germania, infatti, l’immunità è prevista per tutti i deputati. L’”unica” differenza rispetto al nostro ordinamento è che non viene mai esercitata. All’inizio di ogni legislatura è consuetudine autorizzare automaticamente eventuali indagini a carico di suoi membri. Così in Spagna, dove le Cortes non hanno mai negato, se non una sola volta in trenta anni, un’autorizzazione a procedere. In Inghilterra non c’è alcuna immunità e, per quel che riguarda il Parlamento Europeo, ciascun eurodeputato gode dell’immunità prevista nei rispettivi paesi di provenienza. Ma è raro che ci siano sviluppi giudiziari sui suoi membri (eccetto per l’Italia, come ci rammenta il buon Mastella).

È evidente come, oltre alla ormai normale abitudine di differenziarci dal resto degli stati civili europei, l’intento del Parlamento italiano sia quello di tutelare in tutto e per tutto i propri interessi. Più che una “casta”, una vera e propria “cosca”. E intanto la Boniver avanza, avanza proposte di legge costituzionali, col plauso della maggioranza e di una fetta dell’”opposizione”.


 

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