di Rosa Ana De Santis

La giornata di ieri mette forse l’epitaffio sull’unione faticosa e posticcia tra l’ala dell’Opus Dei e dei chierici seduti a sinistra e il Partito Democratico. La legge sull’omofobia è morta in Parlamento e il voto della senatrice Binetti, che ha contribuito a questo aborto di civiltà, scatena un caso. A dirlo e a ribadirlo non è la fronda dei più progressisti, ma è l’attuale Segretario del PD, Dario Franceschini. Un moto di coraggio e una chiarezza di argomenti coerente con lo sforzo di un partito che arranca a tenere insieme le proprie parti e a recuperare una precisa identità politica. Il caso della senatrice inviata da Dio e dall’Opus Dei, non ha a che vedere con le primarie e con i leader che si contendono la testa della sinistra. Il caso è tutto intessuto nella sostanza e nella vocazione che il PD aspira a conquistare nella vita politica italiana.

Un partito che si definisce delle grandi riforme, ispirato dal faro della tradizione social-liberale e sostenitore della dottrina del welfare forte, non può stare insieme a chi rivendica una lettura della cittadinanza che cestina diritti civili, libertà fondamentali ed eguaglianza in nome di dottrine private e privatistiche. La legge sull’aggravante dell’omofobia non faceva granché paura a nessuno. La possibilità che questa, riconoscendo i cittadini omosessuali potesse portare alle unioni di fatto, all’eguaglianza delle coppie gay con le eterosessuali, quindi al riconoscimento pubblico della cittadinanza menomata degli uomini e delle donne omosessuali, deve invece averne fatta a molti. Qualcuno sostiene anche all’attuale Segretario che in fin dei conti la Binetti e i suoi teodem li ha candidati e voluti.

Molti nel PD sono per il divorzio dalla Binetti. Lo sostiene per prima Paola Concia, relatrice della legge, lo argomenta il capogruppo alla Camera, Antonello Soro e, se pur con cautela, parla di un caso Binetti il segretario Franceschini. Diversa la posizione del senatore Villari e del gruppo misto del PD che reclama il rispetto della libertà di coscienza. Quel feticcio strumentale dei cattolici oltranzisti grazie al quale,  in tutte le battaglie per i diritti civili, il PD ha visto mancare la propria unità e la propria forza. Non quei cattolici che hanno il senso dello Stato e delle istituzioni - come Rosy Bindi, per intenderci - ma quelli come la Binetti.

La sensazione diffusa è che se il partito vuole avere basi solide, prima ancora di giocare la partita del vertice e del leader, dovrà mettere in agenda l’unità sul progetto politico e blindarla da ogni propaganda di coscienza. Dovrà mettere fuori quanti fanno entrare le proprie intime convinzioni personali nell’esercizio di un voto che tocca i diritti di tutti e inficia quel sacro capitale umano della libertà e dell’eguaglianza, che soltanto il patrimonio del pensiero liberal- democratico ha saputo, meglio di altri sistemi politici, tradurre nei fatti. Se le differenze minacciano l’orizzonte di una forza politica social-liberale, quelle differenze sono dannose e vanno lasciate a casa. La Binetti rappresenta una pericolosa incrinatura nel fianco, non solo per il suo voto e il suo seguito, ma per la possibilità di snaturamento del progetto politico che può rappresentare.

La teodem dichiara che con buona probabilità alle primarie voterà Bersani, il quale ha iniziato già a ricordarle che in casi come quello di ieri si vota seconda l’indicazione del gruppo e la libertà di coscienza non può essere utilizzata come arma per togliere diritti e riconoscimenti ai cittadini secondo discriminazioni che hanno a che vedere con orientamenti privati e personali.

Basterà un manifesto di condizioni inalienabili in cui si ricordi ai fedeli onorevoli, a quelli storicamente portati dalla Chiesa e ai neoconvertiti come Rutelli, che nello Stato e nella società civile vige il bando delle regole etico-religiose e vince la morale che tutela tutti senza lasciare a piedi nessuno? Quelli che oggi vengono discriminati perché omosessuali non sono meno umiliati di quanti venivano malmenati perché negri. Ricordino, i democratici, come la declinazione dei diritti sia per tutti e ricordino, gli uomini di dio, quale peccato fa il loro voto di fede. Per il partito democratico la strada di emancipazione può essere all’apparenza sbrigativa. Basterebbe forse fare a meno di chi niente c’entra, se il costo non fosse troppo alto per questo partito in cerca d’autore.

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