di mazzetta

Per rendere l'idea della differenza tra lo scudo fiscale americano e quello italiano basterebbe il titolo con il quale il New York Times annuncia l'avvicinarsi della scadenza: “Paga o prega”. Paga il dovuto o prega che non ti becchino, perché per chi non aderisce alla generosa offerta del governo americano e cerca di nascondere capitali all'estero, c'è il rischio della galera. Nessuna minaccia invece da parte del governo italiano, che a quanti vorranno rimpatriare capitali costituiti all'estero illegalmente garantisce anche l'anonimato. Mentre gli americani partono dal presupposto che il reato originale non meriti un trattamento troppo di favore, quello italiano si preoccupa di farsi complice e coprire gli evasori che invita a riportare il bottino in Italia.

Gli americani hanno inoltre incentivato l'adesione al concordato fiscale con alcune azioni mirate. Prima di tutto hanno messo sotto pressione i paradisi fiscali, in particolare la Svizzera, dove l'UBS ha dovuto capitolare e consegnare i nominativi di molti americani e chiudere i conti di molti altri. Trovarsi dalla sera alla mattina con il contenuto, spesso milionario, di un conto anonimo svizzero trasformato in un assegno, è sicuramente un buon incentivo a riflettere sull'opportunità offerta dal governo americano. Non è stato troppo onorevole per i banchieri svizzeri, ma in fondo la Svizzera ha già rinunciato alla sacralità del segreto bancario in seguito allo scoppio dello scandalo Swift, quando ha dovuto prendere atto che era impossibile impedire agli USA di spiare le transazioni finanziarie mondiali con la scusa della lotta al terrorismo. La sconfitta dell'UBS rappresenta la fine della leggendaria riservatezza elvetica.

Le penalità per chi adempie in tempo oscillano dal 5 al 20% del picco più alto raggiunto dal conto estero che si vuole sanare e, molti di più di quelli che pagheranno entro il termine, rimpatrieranno comunque i capitali sperando di sfuggire all'IRS, il fisco americano. Poi cercheranno di giustificarne l'esistenza con rettifiche delle dichiarazioni dei redditi pregresse, rettifiche che sono aumentate molto in questo periodo e che sono soggette alla tassazione ordinaria, più alta di quella offerta dallo scudo fiscale. Il che dimostra che a fronte di un'azione repressiva incisiva, il rientro dei capitali non ha bisogno di tappeti rossi e di particolari amnistie per gli evasori.

C'è ancora una sottile differenza con la situazione italiana: la legge americana prevede infatti che per godere dello scudo fiscale occorra rivelare all'IRS i nomi, indirizzi e numeri di telefono dei banchieri, avvocati, commercialisti, consulenti e fiduciari che hanno aiutato a nascondere i capitali agli occhi del fisco.

In Italia una cosa del genere è difficilmente ipotizzabile in condizioni normali, figurarsi sotto il regno di Robin Hood-Tremonti, il principe dei commercialisti e artista della finanza creativa, che ha offerto ai gentili colleghi l'opportunità di offrire l'imperdibile “servizio” di un'amnistia tombale ai propri clienti in difficoltà con il rispetto delle leggi e delle normative fiscali. Fare leva sui clienti per portare alla luce le vere e proprie associazioni a delinquere che si occupano del favoreggiamento agli evasori su scala professionale, deve sembrare terribilmente crudele a Tremonti e Berlusconi, che a sua volta conosce e riconosce benissimo cosa voglia dire la rottura del rapporto di fiducia tra professionista e cliente, come nei casi di Mills e D'Addario.

Così, mentre gli Stati Uniti incasseranno molto di più e raccoglieranno dati utili a stroncare il fenomeno dell'evasione e della fuga dei capitali all'estero, l'Italia concede l'amnistia agli evasori e gli fa pure lo sconto sulle tasse, rifiutandosi categoricamente di sapere finanche chi siano questi evasori. Un segno della superiore civiltà cattolica sul calvinismo protestante anglosassone: qui da noi si dice il peccato, ma non il peccatore, al di là dell'Atlantico invece trionfano il giustizialismo e i forcaioli. Almeno così assicura chi sostiene le scudo fiscale tricolore.

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