di Mariavittoria Orsolato

Il 21 luglio 2001, il G8 di Genova si era già tinto di sangue. Il giorno precedente Carlo Giuliani era stato ucciso con un colpo di pistola esploso dall’arma di ordinanza del carabiniere Mario Placanica, in piazza Alimonda. La città e il movimento di protesta No-global erano sotto shock, ma quella che poco dopo fu definita, con le parole di Amnesty International “la più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”, era solo agli inizi. Proprio la notte del 21 luglio, la polizia decide di fare irruzione nella scuola Diaz, inizialmente sede del media-center del Genoa Social Forum e poi, a seguito dell’allagamento per pioggia dello Stadio Carlini, adibito a dormitorio per i manifestanti giunti a Genova da tutta l’Europa. I fermati furono 93, i feriti accertati 66.

Da quel momento in poi la storia ha due versioni: quella ufficiale della polizia e quella ufficiosa dei testimoni presenti in loco che, sbigottiti, vedevano uscire dal portone d’ingesso sempre più barelle. L’unica certezza è nelle immagini e nei filmati che ritraggono spaventose chiazze di sangue sui muri e sui pavimenti di quella che più che una scuola sembrava, secondo il giudizio di Michelangelo Fournier all’epoca vice-comandante del settimo nucleo sperimentale di Roma, “una macelleria messicana”.

Se un anno fa la prima sezione penale del Tribunale di Genova, dopo duecento udienze e quattro anni di processo, condannò 13 dei 39 imputati appartenenti in vario grado alle forze dell’ordine, ieri lo stesso tribunale ha assolto dopo un solo quarto d’ora di camera di consiglio, l’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro e l’ex dirigente Digos Spartaco Mortola dall’accusa di aver indotto a falsa testimonianza l’ex questore di Genova Francesco Colucci, proprio nel processo per i fatti di violenza avvenuti alla Diaz. L'indagine-stralcio è nata infatti da un interrogatorio di Colucci che inizialmente ammise un coinvolgimento indiretto dell'ex capo della Polizia nei fatti della Diaz a causa della presenza sul posto di Roberto Sgalla, allora responsabile delle pubbliche relazioni della Polizia. Ma in seguito, durante il dibattimento, Colucci ritrattò la sua versione rettificando sul fatto che De Gennaro fosse a conoscenza delle violenze avvenuti nel plesso scolastico.

In base a queste incongruenze, lo scorso luglio i pm genovesi Enrico Zucchi e Francesco Cardona Albini avevano chiesto due anni di reclusione per l’attuale capo del DIS (Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza) De Gennaro e un anno e quattro mesi per Mortola, oggi questore vicario di Torino. Secondo il giudizio di primo grado quindi, la retromarcia di Colucci non è un fatto ascrivibile alle pressioni dei due dirigenti e l’intercettazione messa agli atti come prova principe non è indicativa della condotta di De Gennaro, quanto piuttosto di quella di Colucci, ormai l’unico rimasto a giudizio dopo la scelta del rito ordinario anziché quello abbreviato, per cui invece hanno optato i suoi diretti superiori.

Proprio in quell’intercettazione, registrata tra la prima e la seconda deposizione dell’ex questore di Genova, Colucci chiamava Mortola dicendo: “Ho parlato con il capo. Devo fare marcia indietro, anche per dare una mano ai colleghi”. Che il “capo” in questione fosse l’allora capo della Polizia resta un dubbio più che legittimo: come spiega l’avvocato del Genoa Legal Forum, Laura Tartarini, “come si può pensare che sia colpevole chi fa una falsa testimonianza e non chi lo induce a farla?”.

Heidi Giuliani non si stupisce degli esiti del processo: “De Gennaro fa parte della categoria degli intoccabili del nostro paese. Dopo i fatti i di Genova ha avuto una carriera sfolgorante, quindi non ho nessuno stupore davanti a una sentenza di assoluzione. La battaglia per ottenere giustizia sui fatti di Genova è stata una battaglia persa fin dal primo giorno”, ha aggiunto la madre di Carlo.
Per il pm Enrico Zucca però, “Un appello per la sentenza di oggi non è per niente scontato. Mai come in questo caso - ha aggiunto Zucca - tutto è legato alla motivazione. Qui le premesse del giudice sembrano essere corrette. Perché dovrebbe aver accettato l’impostazione della Procura. Ci sembra che ci siano buoni presupposti giuridici”.

Nei prossimi giorni, i due titolari dell’inchiesta vedranno come il Gup Silvia Carpanini ha interpretato gli elementi raccolti durante le indagini, visto che ha indicato le intercettazioni tra le fonti di prova: per i pubblici ministeri, infatti, la posizione di De Gennaro apparirebbe “più limpida”, in quanto l’attuale capo della Dis non è mai stato intercettato direttamente.

Nell’attesa di ulteriori sviluppi giuridici, la compagine politica plaude in maniera bipartisan a questa versione della giustizia mentre l’opinione pubblica si spacca proprio sull’esito del processo: se per molti questa è l’ennesima conferma di un piano di assoluzione generale per gli architetti delle giornate di Genova, per altrettanti la sentenza di ieri non è sindacabile sulla base del colore politico degli imputati.

Quello che, a distanza di otto anni, pare però certo e inconfutabile è che da qualche anfratto delle stanze dei bottoni arrivò un ordine ben preciso: il movimento No-global doveva essere intimorito e respinto conseguentemente dalla scena politica. Che quest’ordine sia stato interpretato in modo autonomo da ogni funzionario presente è una realtà agli atti processuali, che l’impatto di questa operazione abbia praticamente resettato una fetta del dibattito politico, è invece un assunto che in molti faticano ancora a comprendere.

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