di Mariavittoria Orsolato

Sarà solo una visita di cortesia quella che il presidente Berlusconi farà al leader libico Gheddafi il prossimo 30 agosto. Domenica cade infatti il primo anniversario del trattato di amicizia firmato a Bengasi dal nostro premier e dal fautore della Jamahiriya, per instaurare istituzionalmente un rapporto di partenariato e cooperazione in cui il nostro paese si è oltretutto impegnato a versare 200 milioni di dollari l’anno per 25 anni. La causa di tanta generosità è stata ufficialmente individuata nel senso di colpa per il disastroso passato coloniale nostrano, ma il fatto di essere scesi a patti con un leader considerato dai più come un dittatore, non ha giovato alla nostra già deprecabile immagine internazionale. La presenza di Berlusconi a Tripoli ha perciò scatenato l’ennesima polemica tra i capi di stato esteri. Lo scorso 20 agosto infatti, Abdel Basset Ali al-Megrahi, condannato per l’attentato del volo Pan am 103 - in cui morirono 270 persone, la gran parte dei quali americani, nei pressi della cittadina scozzese di Lockerbie - è stato scarcerato per motivi di salute e successivamente accolto nel paese natio, la Libia appunto, come un eroe tornato dal fronte.

I leader mondiali, invitati a Tripoli il primo settembre per celebrare i 40 anni della nascita di quella che il colonnello si ostina a chiamare Repubblica Popolare e Socialista, hanno colto al volo l’episodio del ritorno di al-Megrahi per defezionare i festeggiamenti. Washington è stato solo il primo esecutivo a esprimere perplessità sulla presenza del nostro capo di governo, ma nel frattempo anche Russia, Regno Unito e Francia hanno preferito stendere un velo pietoso sull’opportunità di un’eventuale partecipazione ad una cerimonia di tale stampo.

Effettivamente, il primo settembre, a Tripoli, non ci sarà neanche il cavaliere, ma la rappresentanza italiana sarà garantita dalle Frecce Tricolore che, ricordiamo, non sono la flotta area privata del nostro premier, ma il fiore all’occhiello dell’aviazione militare italiana. E qui scatta la polemica interna. I radicali hanno immediatamente protestato contro il gesto del premier e poco dopo si sono accodati anche Pd e Udc. Per il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa “se Berlusconi non rinuncerà alla visita a Tripoli, l'Udc è pronta a promuovere un sit-in davanti all'ambasciata libica aperto a tutte le forze politiche, per protestare contro le continue provocazioni del colonnello Gheddafi”.

Quindi l'attacco dei democratici: “La presenza delle Frecce tricolori in Libia, più che un problema di costi, pone questioni di opportunità e di merito politico - afferma Roberta Pinotti, responsabile Difesa del Pd. L'impiego della pattuglia acrobatica è legato ad occasioni di festa o a celebrazioni e, quindi, di fronte alla tragedia degli asilanti eritrei, riteniamo sbagliato dare un connotato festoso ad una visita che deve aver al centro il tema dei diritti umani”, sottolinea la Pinotti richiamando la tragedia dei 73 eritrei morti durante la traversata del mediterraneo dalla Libia all’Italia.

Non bastassero gli strali dell’opposizione, ci si mettono anche i giornali filo-governativi. Lo scorso lunedì su Libero e sul Giornale i due neodirettori - rispettivamente Maurizio Belpietro e Vittorio Feltri - hanno battagliato sulla visita libica del loro editore: se per Feltri la questione si esaurisce nella semplice applicazione della Realpolitik, per Belpietro “c’è un problema di coerenza, o, meglio ancora, un problema morale. Se Berlusconi vuole salvare capra e cavoli, ovvero la lotta al terrorismo e le ragioni politiche, inventi qualcosa, trovi una via d’uscita. L’importante e che insieme alla capra e ai cavoli salvi anche la faccia”. Un amichevole consiglio al premier insomma, titolato però provocatoriamente “Caro Cavaliere, non salga sul cammello”.

Dalla Farnesina però fanno sapere che la visita di Berlusconi può risultare opportuna per almeno tre ragioni: la prima è che il colonnello è attualmente il presidente dell’Unione Africana, la seconda vale per dimostrare la completa rottura con il triste passato colonialista e, infine, perché l’Italia e la Libia hanno ormai un consolidato rapporto economico e di cooperazione mediterranea. Parola del ministro Frattini.

A questo punto si potrebbe però dire che nessuno ha obbligato nessuno a stringere partnership così stringenti con un Paese notoriamente poco gradito alla comunità internazionale. Si potrebbe anche obiettare sul fatto che l’accordo diplomatico abbia un reale valore per la nostra repubblica: in diverse occasioni la Libia ha alzato la voce con l’amato partner italiano, l’ultima di queste riguardava la minaccia di arresto per i pescatori nostrani che si fossero spinti in acque libiche.

Se poi si pensa al fatto che all’arresto di uno dei figli del colonnello a Ginevra per avere assalito la cameriera di un albergo, il governo libico rispose sospendendo le forniture di petrolio alla Svizzera, ritirando 5 miliardi di dollari dalle banche e arrestando due uomini d'affari svizzeri in Libia, viene più che altro da chiedersi se la visita in quella che un tempo era la Cirenaica non sia l’ennesimo di una serie di ricatti che il colonnello sta sottoponendo alla politica estera del belpaese.


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