di Mariavittoria Orsolato

I 4 miliardi di euro scippati ai Fondi per le Aree Sottosviluppate e stanziati espressi dal cavaliere, all’indomani della minacciata secessione politica della Sicilia dei Lombardo e dei Micciché, non bastano. O almeno, basterebbero se si trattasse di soldi da gestire alla luce del sole. Gira voce tra i professionisti della politica che la mossa del duo siculo altro non sia che uno scambio alla vecchia maniera: tu mi dai i soldi, io appoggio tutto quello che proponi o, meglio ancora, glisso su cose che so ma che non posso dire. Deve essere andata così la storia, quando in gioco ci sono soldi, non si fa mai niente per niente. Berlusconi, immerso fin sopra il toupè in problemi d’immagine e credibilità, si piega al volere dei siciliani recalcitranti assegnando una corsia finanziaria preferenziale ad una regione che molto ha di virtuoso, ma purtroppo non la gestione di fondi statali. Che il premier abbia una predilezione particolare per l’isola lo si è evinto abbastanza chiaramente quando il suo personale medico, il dottor Scapagnini, in veste di sindaco ha fatto un buco da 300 milioni al comune di Catania. Che l’amore che ha per la Sicilia possa però essere come quello di Turiddu per la Santuzza della cavalleria rusticana - un amore quindi forzato e destinato alla tragedia - ce lo dicono centinaia di fascicoli processuali riguardanti le sue implicazioni con personaggi di ben nota fama, come lo stalliere mafioso Vittorio Mangano.

Fatto sta che proprio in questi giorni Berlusconi si sta prodigando come non mai per perorare la causa di quello che i giornali si ostinano a chiamare Sud, ma che in realtà altro non è che la Sicilia e le sue cruciali clientele. Passato lo scoglio del Senatùr che, alla faccia dei suoi fedelissimi elettori, ha dato il suo placet alla maxi operazione di drenaggio di fondi statali, ora il vero iceberg è Giulio Tremonti, superministro dell’economia con delega a tappabuchi. Quest’ultimo, assieme al direttore generale del Tesoro Vittorio Grilli, ha recentemente fatto rotta verso la residenza di Arcore per tentare di dissuadere il premier da una manovra che, viste le miserrime condizioni dell’erario e l’inarrestabile crescita del fabbisogno statale (31,3 miliardi in più rispetto al 2008), parrebbe suicida.

La visita di cortesia non sembra aver sortito gli effetti desiderati: Berlusconi ha chiesto al ministro del Tesoro di appoggiarlo in quello che sarà il piano politico autunnale, un tentativo di ripresa che vede la Lega un po’ più defilata e che passa anche e soprattutto dai fondi che il Governo si deciderà a stanziare in favore delle regioni meridionali, Sicilia in testa. In ballo ci sono 60 miliardi di euro da spalmare fino al 2015 e, dopo 15 anni di oblio, si ritorna a parlare di Cassa del Mezzogiorno ribattezzata per l’occasione Agenzia per il Sud perché, come osserva caustico Calderoli, “la Casmez evoca ricordi negativi”. C’è poi la creazione ad hoc di una Banca del Sud, da ricavare, secondo il dl 112 del 2008 che per primo l’aveva proposta, “in una regione del mezzogiorno” e composta da un parco azioni in maggioranza privato: con questa si auspica di incentivare l’investimento popolare, sperando di non finire come la Banca Rasini.

Sulla carta il progetto pare ineccepibile: interventi mirati, opere ben definite, lotta allo spreco e all’illegalità. Se però guardiamo ai 4 miliardi stanziati ad hoc per la Sicilia, scopriremo che il progetto dalla potenza all’atto, subirà notevoli stravolgimenti. Secondo Domenico Nania e Giuseppe Castiglione, coordinatori regionali del Pdl, parte di questa generosa donazione andrà a coprire i salari degli operatori forestali, degli operatori di bonifica e di tutto quel sottobosco di precari della pubblica amministrazione, reclutati grazie al voto di scambio. Insomma come sempre è accaduto, la pioggia di soldi proveniente da Roma andrà a finanziare la spesa corrente, coprirà le voragini di debiti e non aiuterà in nessun modo lo sviluppo imprenditoriale e sociale della regione.

Per tutti quelli che, come noi, hanno guardato con sospetto a questa manovra del premier, la risposta pervenuta è che la Sicilia aveva da tempo presentato il suo Par (Piano Attuativo Regionale) all’esecutivo e che l’ultimatum di Micciché e Lombardo è stato solo un tentativo di accelerare i lunghi tempi della democrazia. Quello che però sta succedendo in questi giorni sull’isola, con le rivelazioni di Ciancimino e la riapertura di casi cruciali come quello sulla strage di via D’Amelio, non può non far pensare che in realtà ci sia molto di più che una mera richiesta di attenzione da parte di Palazzo Chigi. Riaffiora in maniera non così tanto velata come vorrebbero farci credere, l’impellente questione della commistione viziosa tra Stato e Cosa Nostra e, conoscendo molto bene le amicizie sbagliate dei Silvio e dell’amico Marcello (condannato in primo grado dal Tribunale di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa) questa generosità e questo interesse paiono tutt’altro che spassionati.


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