di Mariavittoria Orsolato

Ennesima tragedia greca tra le tragedie greche che ogni giorno occhieggiano dai nostri teleschermi, domenica sera in casa Fazio (Fabio) si è consumato in diretta tv un altro capitolo della versione sinistrorsa del divorzio all’italiana. Protagonista Walter Veltroni, che nell’intervista rilasciata a “Che tempo che fa”, ha sancito la fine della già precaria alleanza con l’ex pm Di Pietro e la sua Italia dei Valori: “Quell’alleanza è stata fatta sulla base di un programma che è stato sottoscritto da entrambi con l’impegno a fare un gruppo parlamentare con prospettive di convergenza ed è finita il giorno in cui Di Pietro ha preso e ha stracciato questo impegno perché aveva un numero di parlamentari necessario a formare un gruppo parlamentare improprio. Poi noi abbiamo due posizioni diverse (…) è una vita che vedo fare opposizione con un tono di voce alto. Credo appaia evidente chi dei due è venuto meno all’impegno, non siamo stati noi”. Non che non ce ne fossimo accorti che Pd e Idv vivessero già da separati in casa, lo sapevamo da quando li avevamo visti battibeccare dopo il no-cav day di piazza Navona. Ma il buon Walter, da buon democratico e da buon masochista, ha deciso di farne cosa manifesta giusto pochi giorni prima della grande protesta contro il Governo prevista per il prossimo sabato al Circo Massimo.

Una manifestazione d’opposizione che sembrava destinata a morire in fasce - visti i continui ripensamenti degli organizzatori sulle date e le modalità - ma che anche grazie alla politica urlata dei dipietristi potrebbe recuperare la fiducia di tutti quegli elettori della sinistra che si sono ritrovati orfani di rappresentanza e di idee all’indomani dello scorso 13 aprile.

Da quando il Berlusconi quater si è insediato, la politica del “volemose bbene” auspicata dai leader di Pd e Pdl - ve li ricordate, poco prima delle elezioni, sorridenti a stringersi la mano? - è andata platealmente a farsi benedire; a una maggioranza che di fatto ha abolito il dibattito per governare a colpi di decreti e fiducie sui decreti, si “contrappone” un’opposizione fin troppo timida che probabilmente è costretta a dirimere posizioni interne piuttosto che decidere efficaci strategie di contrasto.

In questo gioco Di Pietro ha avuto il merito di imporsi come outsider, di fare una politica efficace - per quanto strepitante e scomposta - nella misura in cui punta il dito e sbugiarda le peggiori intenzioni dell’avversario. Come lo stesso ex pm ha detto, c’è chi gioca a rugby e c’è chi gioca a golf. E con un antagonista del calibro di Berlusconi e la sua cricca, non si può certo combattere secondo le più nobili regole dal fair play.

Sarebbe ingenuo pensare che in una situazione del genere, con l’economia è al collasso e la società che s’involve e diventa cinica, l’unica carta da giocare sia rappresentata dalle nobili idee di progresso. In questo particolare momento storico dove il Paese tutto rischia la deriva autoritaria, il compito del Pd e dell’opposizione tutta è di ricordare e rimarcare i fondamentali della democrazia: concentrarsi sull’economia e sulla ridistribuzione regressiva favorita dal governo; chiarire i costi e le contraddizioni insite al federalismo fiscale; mettere a nudo l’impoverimento delle famiglie; contestare apertamente la svendita dell’istruzione; deprecare il precariato lavorativo ed esistenziale e soprattutto evidenziare fino allo spasmo il tremendo conflitto d’interesse che caratterizza e influenza in modo preponderante questa legislatura.

Proprio su quest’ultimo punto Di Pietro ha fondato la sua strategia politica, ma è stato tacciato da entrambe le parti di monomania nei confronti del premier, con l’evidente conseguenza di spostare il dibattito pubblico - per l’ennesima volta - sul perseguitato Berlusconi e non sul perseguitante Berlusconi.

La manifestazione del prossimo sabato ha le potenzialità per diventare qualcosa di importante, se metterà da parte le becere rivalità da sezione di partito e si concentrerà sullo sforzo comune di tutti quelli che non si identificano nel trend corrente. Annunciare apertamente una rottura politica alla vigilia di questo evento, potrebbe avere lo stesso effetto che subisce una fedifraga punita dal marito con il taglio del membro di quest’ultimo: un tirarsi la zappa sui piedi che giova solamente alla controparte e che come conseguenza porterebbe gli italiani che ancora sperano in un cambiamento, ad arroccarsi su posizioni scettiche o, peggio ancora, indifferenti.

Le scorse elezioni d’altronde l’hanno dimostrato con i numeri: il partito di Di Pietro ha raddoppiato i consensi convogliando gli indecisi e quella parte di sinistra disillusa dai cambiamenti apportati solo al nome. Lasciare un alleato del genere significa fare harakiri gratuitamente e, nei fatti, pare che il divorzio sia stato decretato solo a Montecitorio: Pd e Idv corrono infatti assieme alle regionali e i margini per un'intesa, anzichè restringersi, si allargano.

Sono solo chiacchiere allora quelle di Veltroni? In molti ormai credono che sia così: intelligenti, laiche, futuribili e moderne, ma solo chiacchiere. Parole garbate e composte che di fronte ai tremendi bisogni e problemi che l’Italia nutre e tiene in grembo, parranno all’orecchio di chi ascolta sfuggenti, impalpabili, evanescenti e magari inconcludenti. E non è questo ciò di cui abbiamo bisogno, e soprattutto non è questo che ci si aspetta da uno schieramento di opposizione.

Diceva il compianto Indro Montanelli: “Il vaccino per il virus Silvio Berlusconi è una legislatura con Silvio Berlusconi premier, ma in Italia servono tre o quattro legislature per capire chi abbiamo come premier”. Parole sante.

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