di Nena News 

Cairo, 10 settembre 2011. Questa notte è stata la bandiera egiziana a sventolare al posto di quella israeliana sull’edificio che nella capitale del paese dei faraoni ospita la sede diplomatica dello Stato ebraico. La seconda volta da quando un giovane imbianchino di Sharkia, Ahmed Shehaat, scalò qualche settimana fa l’alto edificio issandovi la bandiera egiziana. Un gesto che è il simbolo dell’escalation di tensione che la notte scorsa ha raggiunto il suo apice per le violente proteste di fronte l’ambasciata israeliana del Cairo di migliaia di manifestanti ancora infuriati per l’uccisione, avvenuta il 18 agosto, di cinque guardie di frontiera egiziane da parte dell’esercito israeliano.

L’assalto che ha causato alcuni un morto e centinaia di feriti (altri due morti si sono avuti durante altri incidenti), è l’ultimo di una serie di segnali di insofferenza degli egiziani nei confronti della politica israeliana. Sono a forte rischio le relazioni diplomatiche tra i due paesi e in Israele rimpiangono il dittatore Hosni Mubarak, alleato di ferro dello Stato ebraico, costretto sette mesi fa a farsi da parte sull’onda della rivoluzione del 25 gennaio.

La tensione la scorsa notte è degenerata in scontri violenti quando un gruppo di manifestanti si è introdotto nel palazzo dell’ambasciata, però non  nella sede diplomatica  ma in un appartamento limitrofo al 18.mo piano dove si trovava l’archivio dell’ambasciatore. A riferirlo sono state, fonti egiziane ed israeliane. I manifestanti, una trentina, non avrebbero lanciato dalle finestre documenti ufficiali ma brochure e questionari tenuti di solito all’ingresso della sede diplomatica. I mezzi d’informazione egiziani riferiscono anche di documenti dati alle fiamme in strada, così come alcune auto diplomatiche parcheggiate nella zona.

Il resoconto riferito dai media israeliani parlano di sei funzionari addetti alla sicurezza dell’ambasciata rimasti intrappolati, mentre decine di dimostranti tentavano di entrare nell’appartamento, e che sono stati salvati da una unità speciale egiziana. I sei, più l’ambasciatore, la sua famiglia e altri componenti dello staff dell’ambasciata sono poi stati portati all’aeroporto dalla sicurezza egiziana ed imbarcati su di un volo speciale che li ha riportati in Israele.

Fuori dal palazzo in quelle stesse ore, veniva in buona parte demolito un muro di protezione costruito recentemente dal governo egiziano, azione che aveva già suscitato polemiche, acuite dalle recenti tensioni tra Turchia  e Israele e dalla decisione del premier turco, Recep Yayyeb Erdogan, di espellere l’ambasciatore israeliano e di tagliare le relazioni militari e diplomatiche per le mancate scuse del primo ministro Netanyahu per i civili turchi uccisi un anno fa da un commando israeliano sulla nave Mavi Marmara.

Il premier Netanyahu la scorsa notte ha invocato l’aiuto degli Stati Uniti, e il presidente Obama ha esortato l’Egitto a “onorare i suoi obblighi internazionali”, garantendo la sicurezza della sede diplomatica.

Si tratta del terzo venerdì di protesta contro Israele in seguito all’uccisione, lo scorso 18 agosto, di cinque guardie di frontiera egiziane, da parte dell’esercito israeliano come risposta all’attacco terroristico subito a Eilat: la più grande, quella del 26 agosto, la cosiddetta «manifestazione del milione», sebbene la cifra sperata non sia stata raggiunta. Se a livello diplomatico, Israele ha tentato di risolvere una possibile crisi con l’Egitto, paventando la possibilità di autorizzare l’ingresso nel Sinai (area smilitarizzata in base a quanto stabilito dagli accordi di pace tra i due paesi) di migliaia di sodati egiziani, a livello popolare la protesta dei giovani egiziani resta forte; oltre a chiedere immediate riforme rimaste sulla carta, contestando la giunta militare (ieri troneggiava lo slogan “egiziani venite fuori dalle case, Tantawi è come Mubarak”) molti gruppi di manifestanti, animatori delle proteste di pazza di febbraio chiedono appunto una revisione dell’accordo firmato a Camp David, con il quale il Sinai è stato restituito all’Egitto ma con una sovranità limitata da parte del Cairo

 

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