di Giorgia Grifoni

Roma, 09 luglio 2011. Libertà, autodeterminazione, democrazia. Parole che sembrano difficili da trasformare in realtà durante 30 anni di guerra civile. Non siamo nell’ordinata Europa, quella della ricchezza perenne e dell’Unione salva-economie, dove i separatismi vengono scelti accuratamente e aggiustati alla meno peggio. Ci troviamo in Africa, terra di saccheggi e di spartizioni arbitrarie, dove il colonialismo ha sradicato e ridisegnato interi sistemi socio-economici con squadra e righello. I nuovi sistemi hanno portato centinaia di conflitti e distrutto un intero continente. Ma il Sud Sudan, invece, ce l’ha fatta. E per questa giovane nazione, grande due volte l’Italia, sono arrivate libertà, autodeterminazione e forse democrazia.

Attraversato dal Nilo Bianco, delimitato dal deserto a nord e dalla savana a sud, eccolo il 54esimo stato dell’Africa. Sul suo suolo vivono quasi 9 milioni di persone, divise in varie etnie di origine nilotica - cristiane e animiste - che il 9 gennaio scorso hanno scelto l’indipendenza dal nord arabo e musulmano tramite un referendum. Nel sottosuolo, un’infinità di tesori che vanno dall’oro al petrolio, dallo zinco al rame, ma che sono sempre stati a uso esclusivo del governo centrale contro cui il Sud ha lottato per tre decenni. Parte del petrolio si trova in quest’area, ma le raffinerie sono al nord, a Port Sudan: il Sud dovrà decidere se usufruire dell’oleodotto sudanese, con relativa spartizione dei proventi delle risorse, o se guardare piuttosto a est, e far transitare l’oro nero per il Kenya fino al terminal di Mombasa.

La maggior parte dei giacimenti di petrolio si trova però nella regione immediatamente a nord del nuovo Stato. Il Kordofan, l’ennesimo teatro di guerra del Sudan, è abitato prevalentemente da etnie di origine nilotica come il Sud Sudan, che dovevano decidere se unirsi o meno al nuovo Stato tramite un referendum. Che non si è mai tenuto. Dividono il territorio con popolazioni semi-nomadi di origine camitica e lingua araba, i Baqqara e i Kababish, fedeli al governo del nord.

Gli altipiani a est di questa regione sono il regno dei Nuba, popolo che ha appoggiato la lotta di liberazione trentennale condotta dal Sudanese People’s Liberation Movement (SPLM) ma che è rimasto sotto il controllo del Nord. Questa terra ricca e contesa è da più di sei mesi teatro di un bagno di sangue, con scontri tra il SPLM e le forze governative, per un bilancio di oltre duemila vittime e di più di 73 mila sfollati. Particolarmente colpiti sono i villaggi dei Nuba, con ordini di arresto, esecuzioni e bombardamenti mirati, tanto che il Sudan Democracy First Group - coalizione di attivisti, sindacalisti, cittadini e professori universitari - denuncia il genocidio del popolo Nuba.

Il 28 giugno scorso il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha approvato l’invio di 4200 Caschi Blu etiopi nel distretto di Abyei, nel Kordofan meridionale, per la durata di sei mesi. Qualche giorno dopo ad Addis Abeba i governi del nord e del sud hanno formalizzato l’accordo per la smilitarizzazione di quest’area contesa, in attesa di definire i confini tra i due stati. Khartum, però, non vuole i Caschi Blu dopo il 9 luglio: si annuncia un nuovo bagno di sangue.

A nord ovest del nuovo Stato c’è il Darfur. Ricca di petrolio e popolata in prevalenza da etnie nilotiche, come il sud e il Kordofan, questa regione è teatro dal 2003 di una sanguinosa guerra tra tribù sedentarie autoctone e nomadi di origine araba per il controllo delle risorse che essa offre. Siccità e desertificazione favoriscono il perpetrarsi degli scontri e il governo di Khartum aizza le divisioni armando le milizie Janjawid - “Demoni a cavallo” - che devastano, stuprano, uccidono la popolazione. Tutto questo contro eventuali pretese separatiste della maggioranza della popolazione nera del Darfur.

Il mercato di Juba

Sono molte le questioni irrisolte che il governo di Juba, capitale provvisoria del Sud Sudan, dovrà affrontare con il suo vicino settentrionale a partire da oggi. A cominciare dalla spartizione del debito pubblico - uno dei più alti del mondo - con il governo del nord, alla gestione delle risorse e alla delimitazione dei confini, senza dimenticare i rapporti diplomatici con Khartum. Il presidente del Sud Sudan, Salva Kiir, si è detto disponibile a relazioni pacifiche con il Nord, promettendo pieni diritti per i cittadini settentrionali nel nuovo stato, se non addirittura la cittadinanza.

Si profila invece buio il destino dei sud sudanesi al nord, che perderanno la cittadinanza, il lavoro e i diritti. Il presidente sudanese Omar al-Bashir, nonostante sia presente alle celebrazioni per l’Independence Day a Juba e abbia dichiarato la volontà di intrattenere buoni rapporti con il vicino meridionale, non è noto come faro di democrazia e di diritti umani.

Nasce un paese tutto da costruire. Infrastrutture, strade, ospedali, economia: tutto manca al Sud Sudan. E anche se un nugolo di paesi stranieri - in primo luogo la Cina vicina a Omar al-Bashir e gli Emirati Arabi Uniti -ha promesso investimenti e aiuti, la mano del neocolonialismo si è già avventata sul nuovo Stato.

Secondo un rapporto di Norwegian People’s Aid presentato lo scorso marzo, il 9% della terra del Sud Sudan è stata comprata da compagnie straniere per il settore agricolo e dei biocarburanti. I capi tribù l’hanno venduta a prezzi irrisori quando ancora non c’era uno stato centrale che vigilasse in questo senso. Solo l’1% della terra del Sud Sudan viene attualmente coltivata: quasi tutti i prodotti vengono importati.

Decine di sfide si profilano all’orizzonte di Juba: sembrano impossibili da realizzare, ma profumano di speranza. Perché per la prima volta in Africa il righello del colonialismo è stato spezzato dall’autodeterminazione della sua gente.

fonte: Nena News

 

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