La visita in Ucraina del presidente americano Biden è alla fine andata in scena per una manciata di ore nella mattinata di lunedì nonostante le ripetute smentite della vigilia da parte della Casa Bianca. L’utilità pratica dell’incontro con Zelensky resta quanto meno dubbia, mentre è certo che l’evento attentamente studiato rappresenta un’altra operazione di pubbliche relazioni per salvare ciò che rimane dell’unità dei membri NATO e, soprattutto, del consenso di un’inquieta opinione pubblica europea e americana attorno alla causa persa dell’Ucraina.

Ufficialmente, Biden era diretto in Polonia per la prima tappa del suo tour europeo, ma la situazione di gravissima crisi che il regime di Kiev sta vivendo sembra avere resa necessaria una “sorpresa”, utile in teoria anche a provare a rilanciare l’interesse nel conflitto. Secondo la versione ufficiale del governo USA, le misure di sicurezza prese per garantire l’arrivo di Biden in Ucraina sarebbero state eccezionali. L’unica misura utile in questo senso è stata in realtà la notizia preventiva del viaggio recapitata a Mosca per evitare incidenti, come ha scritto tra gli altri la Associated Press.

 

Biden è rimasto a Kiev circa cinque ore, durante le quali ha dato la possibilità a Zelensky di ostentare il persistere dell’appoggio americano al suo regime, in quello che appare senza dubbio anche come un messaggio agli alleati NATO che nutrono dubbi sempre maggiori sull’opportunità di prolungare la guerra. Biden ha promesso da parte sua il solito nuovo pacchetto di assistenza militare, questa volta da 500 milioni di dollari, anche se non sono emerse novità sul possibile trasferimento di missili a lungo raggio, né tantomeno di aerei da guerra.

Il resto è stato in larga misura apparenza, con dichiarazioni di Biden e Zelensky che hanno cercato di dipingere scenari esattamente opposti a quelli verificabili nella realtà. Il presidente americano ha ad esempio sostenuto che Putin avrebbe in sostanza sbagliato i suoi calcoli, poiché credeva che “l’Ucraina fosse debole e l’Occidente diviso”. La tragedia che sta avendo luogo in Ucraina e i malumori che attraversano l’Occidente raccontano evidentemente un’altra storia.

In un altro momento della conferenza stampa congiunta, l’ex comico televisivo ucraino ha assicurato che “il colloquio [con Biden] ci porta più vicini alla vittoria” e i risultati del vertice si vedranno molto presto sul campo di battaglia. Come la situazione possa essere invertita appare tuttavia un mistero. Secondo le stime più affidabili, le forze armate ucraine continuano a perdere almeno tra i 200 e i 400 uomini al giorno sul campo di battaglia, per non parlare della distruzione dei mezzi militari sotto i colpi dell’artiglieria russa. Inoltre, gli equipaggiamenti promessi dall’Occidente, dopo un breve momento di euforia al momento dei vari annunci ufficiali, arriveranno solo in parte e con tempi piuttosto lunghi. L’arruolamento di nuovi soldati ucraini da mandare al macello continua infine a incontrare forti resistenze e si sta allargando sempre più a ragazzini, donne e anziani.

Più che una testimonianza del sostegno americano al regime ucraino in guerra contro la Russia, la visita di Biden è così un’altra testimonianza di come gli Stati Uniti e i loro alleati stiano letteralmente favorendo la distruzione di un intero paese e una generazione di uomini per raggiungere i propri obiettivi strategici nei confronti di Mosca. Resta da vedere se dietro lo show offerto ai media, la delegazione USA approdata a Kiev abbia sollevato con il proprio burattino Zelensky la questione della possibile via d’uscita dalla guerra.

La stessa retorica registrata in Ucraina prevarrà nel prosieguo della trasferta di Biden, il quale terrà un incontro ufficiale con i rappresentanti del governo polacco nella giornata di martedì. La Polonia è, assieme ai mini-stati baltici, l’elemento più ferocemente anti-russo del fronte NATO e continua a chiedere interventi massimalisti per cambiare gli equilibri del conflitto o, forse, per accelerare il tracollo del regime di Kiev e occupare i territori occidentali dell’Ucraina a cui Varsavia guarda da tempo con particolare appetito.

La settimana appena iniziata si annuncia in ogni caso come una delle più intense per quanto riguarda la propaganda occidentale, non solo per la coincidenza con il primo anniversario dell’inizio delle operazioni militari russe, ma anche per la fase probabilmente cruciale che la guerra sta attraversando. Le notizie che arrivano dalla località di Artemovsk (Bahkmut) continuano a essere molto pesanti per l’Ucraina e la caduta della città potrebbe aprire la strada alla liberazione di tutta la regione di Donsetsk, annessa dalla Russia dopo il referendum dello scorso settembre.

Putin terrà un discorso al paese nella giornata di martedì e qualcuno si attende un annuncio su una possibile intensificazione dell’offensiva. Che ciò avvenga o meno sembra poco rilevante, visto che le pressioni sulle forze armate ucraine sono già aumentate da svariate settimane, contribuendo a provocare un qualche cambiamento della prospettiva occidentale, visibile tra le righe delle stesse analisi offerte dai media ufficiali e dai rispettivi governi.

Emblematico è stato a questo proposito un articolo pubblicato nel fine settimana dalla testata on-line Politico. Il tono è apparso decisamente cupo e tutta la narrazione tende a mettere in guardia dalle crescenti resistenze ai piani ucraini della Casa Bianca sia tra alcuni alleati NATO sia nel Partito Repubblicano, da inizio anno tornato a detenere la maggioranza alla Camera del Congresso di Washington.

Un aspetto a cui l’analisi ha dato spazio è la sostanziale salute della Russia e l’ampia disponibilità di uomini, mezzi e armi. Politico ammette anche che Putin non sente in pratica nessuna pressione sul fronte interno ed è anzi l’amministrazione Biden a rischiare molto in caso di prolungamento del conflitto senza risultati significativi. Le elezioni del 2024 potrebbero lanciare un candidato repubblicano poco disposto a sostenere l’impegno bellico. Trump sta già sfruttando infatti la situazione attraverso prese di posizione contrarie all’invio di armi all’Ucraina e con richieste di aprire una trattativa diplomatica. I recenti sondaggi indicano poi la pazienza in calo degli americani per il buco nero ucraino.

Politico e altri media ufficiali scrivono da qualche tempo che la Casa Bianca starebbe invitando il regime di Zelensky a produrre risultati sul campo, così da mostrare successi agli scettici ed evitare il prosciugamento che a breve potrebbe verificarsi degli aiuti militari. La tesi appare però in larga misura fuorviante. Sono in primo luogo gli Stati Uniti e la NATO a essere consapevoli dell’impossibilità per Kiev di fare segnare progressi di rilievo vista la situazione. L’impressione è piuttosto che in Occidente si stia prendendo tempo per rinviare una clamorosa umiliazione e, a questo scopo, potrebbe essere in corso un dibattito tra coloro che auspicherebbero una de-escalation, con l’esplorazione di un percorso diplomatico, e altri disposti ad aumentare l’impegno bellico, forse anche in maniera diretta.

Finora non ci sono comunque indizi di possibili iniziative autonome dei paesi europei – Ungheria a parte – nemmeno dopo le recenti rivelazioni di Seymour Hersh sulla distruzione del gasdotto Nord Stream per mano del governo americano. Tutto dipende quindi dalle decisioni che vengono e verranno prese a Washington. I docili alleati europei, nel migliore dei casi, si nascondono dietro a dichiarazioni che lasciano talvolta trasparire velati avvertimenti sulle conseguenze della guerra, com’è successo nuovamente nei giorni scorsi con il presidente francese Macron.

Più spesso, anche tra quelli presumibilmente più cauti come lo stesso Macron o il cancelliere tedesco Scholz, prevalgono servilismo, irresponsabilità e cinismo. In quest’ultimo caso con l’appoggio al massiccio flusso di armi verso l’Ucraina non tanto come strategia vincente per il regime di Zelensky, quanto per giustificare un processo di militarizzazione sul fronte domestico da tempo allo studio e che ha trovato l’occasione per essere attuato proprio grazie al sanguinoso conflitto in corso.

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