Ignacio Lula Da Silva ha vinto il ballottaggio elettorale contro il presidente uscente, Jair Bolsonaro. Lula è stato votato da 80 milioni di brasiliani e la comunità internazionale ha immediatamente espresso le sue felicitazioni, oltre che aver tirato un sospiro di sollievo per l’uscita dal Planalto di un pazzo fascista e negazionista. Bolsonaro, peraltro, non sembra ancora deciso a riconoscere l’esito del voto, ufficialmente per verificare il conteggio, ma in realtà discute con i militari se vi siano o no opzioni golpiste possibili. Difficile che la cupola castrense acceda ad un intervento che costerebbe caro sotto tutti i punti di vista, anche perché la sua ipoteca sul Paese può essere messa in discussione fino a un certo punto da Lula, i cui margini di manovra restano limitati anche nei confronti dello schieramento parlamentare dove  Bolsonaro dispone di 99 seggi contro i 79 di Lula).

 

Quella di Lula è stata una campagna elettorale difficile, caratterizzata da numerose aggressioni sistematiche della destra nei confronti degli elettori del PT, al punto dall’aver reso complicata l’iniziativa elettorale nelle diverse province. Anche sotto il profilo delle risorse la sfida era disperata: sotto la guida di Steve Bannon, il guru fascista di Trump, che ha riempito di fake news la propaganda elettorale, cosciente che non era possibile rivendicare le porcherie di Bolsonaro, che ha fermato la crescita economica del Brasile dal 2014 ed ha inondato il mercato degli ultimi con altri 70 milioni di disoccupati, per non parlare del triste record di paese primo al mondo per morti di Covid causati dalla politica ignorante e negazionista del suo presidente. Per la vittoria di Bolsonaro sono stati ben investiti dieci miliardi di dollari, ma non sono stati sufficienti a produrre altro se non una sconfitta di misura per l’ormai ex-presidente. Anche per questa evidente sproporzione di mezzi e questi due modi opposti di intendere il confronto politico, quella di Lula è una vittoria storica sotto tutti i punti di vista.

 

I riflessi della vittoria

La sua elezione è un fatto di straordinaria importanza per il Brasile, per l’intera America Latina e persino per gli equilibri internazionali. Per il Brasile perché restituisce la speranza ad un paese flagellato da anni di bolsonarismo che hanno comportato una autentica tragedia economica e sociale. Dal 2014 l’economia brasiliana, una delle più importanti del mondo, non cresceva. Oltre settanta milioni di brasiliani sono stati licenziati, espulsi dal circuito lavorativo ed hanno finito per aumentare poderosamente il numero dei brasiliani al di sotto della soglia di povertà. Tutto questo in un paese che, insieme al Sudafrica, presenta la più grande distanza tra chi possiede tutto e chi non ha nulla, dove nell’indifferenza generale vivono e prosperano 200 miliardari brasiliani che cumulano un reddito pari a quello di 210 milioni di loro compatrioti.

Per la rinascita del paese Lula ripropone le assi che risultarono strategiche per il successo dei primi suoi due mandati presidenziali, nei quali ridusse di otto milioni il numero delle persone senza cibo e senza casa. Lo farà assegnando un ruolo primario alle politiche pubbliche, alla guerra alla povertà che vedrà a tal fine anche la concertazione con le forze economiche, le organizzazioni sociali e i partiti, ma senza che questo possa impedire l’attivazione del nuovo contratto sociale che Lula propone, ovvero tetto, cibo, salari, uguaglianza di genere, cultura e fine della violenza. Una crescita economica condivisa tra tutta la popolazione, perché è così che dovrebbe funzionare l'economia, come strumento per migliorare la vita di tutti, non per perpetuare le disuguaglianze.

Nette e senza possibilità di errori d’interpretazione le sue parole al riguardo appena proclamato vincitore: “La ruota dell'economia tornerà a girare, con la creazione di posti di lavoro, la rivalutazione dei salari e la rinegoziazione del debito delle famiglie che hanno perso il loro potere d'acquisto. La ruota dell'economia girerà di nuovo con i poveri come parte del bilancio. Con il sostegno ai piccoli e medi produttori rurali, responsabili del 70% del cibo che arriva sulle nostre tavole. Con tutti gli incentivi possibili per i micro e piccoli imprenditori affinché mettano il loro straordinario potenziale creativo al servizio dello sviluppo del Paese”.

E’ una notizia importantissima anche per il continente latinoamericano. Perché un Brasile in mano a Lula può assumere un ruolo di motore politico per una nuova stagione dell’integrazione latinoamericana. Il Brasile è in grado - per peso politico, economico e militare, per importanza geostrategica e per rilievo internazionale - di rappresentare un forte elemento di coesione per i governi socialisti e progressisti latinoamericani e, in contemporanea, uno stop al golpismo strisciante che sembra animare senza sosta le politiche statunitensi verso il continente.

Lula può infondere nella cosiddetta sinistra light di Arce, Fernandez, Petro, Castillo coraggio politico e visione d’insieme, offrendogli l’opportunità di trattare congiuntamente e non da soli la relazione possibile con le pretese imperiali che gli consenta di concentrare le loro attenzioni sull’agenda dei loro rispettivi paesi e su quella continentale e non sulle richieste di posizionamento politico contro i governi socialisti che vengono da Washington. Intanto, come primo effetto, la sua elezione celebra il definitivo funerale del Gruppo di Lima mentre rappresenta un segnale importante per il rafforzamento della CELAC e dell’UNASUR.

L’elezione di Lula è una notizia importante anche per gli assetti internazionali. Il peso specifico politico ed economico del Brasile sarà esercitato con maggior vigore politico per potenziare il processo di unità dei BRICS, il che comporta un maggiore peso dei paesi emergenti sullo scacchiere globale e, di converso, una ulteriore riduzione per le politiche occidentali che, con sanzioni e mercati alterati da decisioni politiche a tutto vantaggio di USA e Europa, tentano di impedire il necessario passaggio dall’unipolarismo al multipolarismo. Allo stesso tempo un ruolo propositivo del gigante carioca favorirà nuove adesioni alle alleanze regionali, soprattutto in America Latina ma anche in Africa, dove Brasilia fino all’arrivo del vergognoso Bolsonaro aveva sostenuto un ruolo importante.

Per dirla con le parole del neopresidente brasiliano, “abbiamo nostalgia di quel Brasile sovrano, che parlava alla pari con i Paesi più ricchi e potenti. E che allo stesso tempo ha contribuito allo sviluppo dei Paesi più poveri. Il Brasile che ha sostenuto lo sviluppo dei Paesi africani attraverso la cooperazione, gli investimenti e il trasferimento di tecnologia. Questo ha funzionato per l'integrazione del Sud America, dell'America Latina e dei Caraibi, ha rafforzato il Mercosur e ha contribuito a creare il G-20, l'Unasur, la CELAC e i BRICS... oggi diciamo al mondo che il Brasile è tornato. Che il Brasile è troppo grande per essere relegato in questo triste ruolo di paria mondiale”.

 

La nuova rotta

Un forte cambio di rotta, dunque,  che annuncia un nuovo protagonismo di Brasilia, come sottolineato nel suo primo discorso da Presidente: “Ci batteremo ancora una volta per una nuova governance globale, con l'inclusione di un maggior numero di Paesi nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e la fine del diritto di veto, che mina l'equilibrio tra le nazioni”.

Infine, ultimo ma non da ultimo, il voto di ieri è, seppure in un quadro di Paese diviso, il trionfo della giustizia popolare sulla persecuzione politico-giudiziaria che gli toccò subire con oltre 500 giorni di carcere. Venne attuata dal giudice Moro, ma costruita su imput della Casa Bianca e dei fazenderos brasiliani, ansiosi di mettere le mani sull’Amazzonia, di liberarsi del leader più amato a livello popolare e delle politiche egualitarie e perequatrici del suo governo che sottrassero 8 milioni di brasiliani alla fame. L’ex giudice Moro è ora riparato al Senato, eletto dalla destra bolsonarista come risarcimento per lo sporco lavoro fatto.

Da ieri il Brasile ha voltato pagina. La democrazia espelle il virus del bolsonarismo e si ricolloca in forma armonica tra il Planalto e il Cristo del Corcovado. Per un paese grande come un continente comincia un’altra storia per un'altra fase, con altri protagonisti e altri sogni. L’indecenza, da ieri, indossa l’abito dell’ex.

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