Ormai non sembrano più esservi dubbi sugli autori del sabotaggio ai due gasdotti North Stream, così come non vi sono mai stati sugli obiettivi che perseguivano: colpire la Germania e la Russia. Chi aveva interesse a interrompere il flusso di gas verso la Germania e il resto dell’Europa? Gli Stati Uniti, la cui pressione sulla Germania non è nuova. Già con Obama venne alla luce il programma di spionaggio USA verso la Cancelliera Merkel e l’intero governo tedesco, fino ai capi del BND, destinato a ricattare l’intera classe politica tedesca se avesse dato il via, come previsto, al North Stream 2.

 

Berlino rappresenta un competitor importante sui mercati per diversi prodotti e la sua forza economica e politica, unite ad una disinvoltura assoluta nella difesa dei suoi interessi, non permette a Washington di ignorarne le ambizioni di potenza. Che i tedeschi siano consapevoli del “fuoco amico” lo dimostra il successivo voto contrario del Bundestag all’aumento dell’invio di armi e dall’intervento più che autorevole della ex-Cancelliera Merkel, che ha parlato di “necessità di arrivare ad un accordo con Mosca inerente la sicurezza collettiva”, così allarmando Stati Uniti, Polonia, Baltici e Ucraina. La crescente insofferenza di Berlino mette in ansia gli USA perché potrebbe evolvere verso un parziale cambio di rotta. La riduzione delle sanzioni sul gas sarebbe tra i primi punti di un possibile accordo di pace del quale a Washington non vogliono nemmeno sentir parlare. Oltre alla disfatta politica, renderebbe di nuovo il gas statunitense un inutile e costoso pedaggio politico. Da qui l’ammonimento statunitense: la messa fuori uso gasdotti impedisce di ipotizzare la revisione delle sanzioni (anche solo limitatamente al gas) in caso di accordi.

Accordi dei quali non si vedono ancora nemmeno i termini possibili ma Washington e Kiev temono che l’arrivo di un inverno che si annuncia particolarmente rigido e la crisi energetica europea possano incrinare il fronte anti-russo. Un contesto che può mettere a dura prova gli equilibri nella UE, come dimostra la decisione tedesca di intervenire con 200 miliardi di Euro a sostegno energetico, tra le proteste degli altri paesi europei. I quali cominciano a chiedere conto anche alla Norvegia dei lauti affari sugli aumenti speculativi del suo gas. Insomma non è un buon momento per la coesione europea.

Gli USA guardano lo scenario con qualche preoccupazione. Certo, guadagnano da una crisi europea che migliora la competitività statunitense sui mercati e inverte il differenziale storico tra Dollaro ed Euro. Però il barcollare della UE produrrebbe una riduzione della pressione su Mosca e del sostegno economico a Kiev, perché gli USA mettono solo le armi della loro industria bellica, felice di stipulare nuove commesse per l’ormai territorio d’oltremare statunitense.

Ma cogliere gli elementi di rischio di una crisi europea non significa perdere di vista l’obiettivo strategico per cui Washington ha deciso di muovere guerra contro Mosca: affondare ogni ipotesi futura di collaborazione in ambito energetico e politico tra Europa e Russia. Si vuole colpire l’idea della Russia cerniera di un continente come l’Eurasia, impedendone il ruolo politico; in collaborazione con lo SCO, potrebbe prendere forma la costituzione di una entità geopolitica che, sul piano commerciale e sulla sicurezza condivisa, terrebbe l’Europa al sicuro e con un mercato enorme e renderebbe gli USA poco ininfluenti su due dei cinque continenti.

Per questo a Washington vogliono far proseguire la guerra ad ogni costo: genera un altro vantaggio strategico per gli USA perché pone la struttura socioeconomica europea in condizioni di ulteriore difficoltà. Del resto la crescita tedesca si è basata sul surplus commerciale ottenuto anche grazie al basso costo energetico per le sue produzioni in virtù del prezzo competitivo che Mosca esigeva per il suo gas e per il suo petrolio. Ora lo scenario cambia radicalmente: l’irruzione del GNL USA, pure insufficiente, porta un aumento del 55% del costo con l’aggiunta del trasporto e delle triangolazioni e questo, insieme al rialzo continuo dei tassi d’interesse sull’Euro (misura stupida e controproducente per contrastare il tipo di inflazione che subiamo) favorisce l’ingresso dell’area UE nella recessione economica. Con ciò, l’economia USA respirerà profondamente: due su tre dei suoi principali competitor - Ue e Russia - saranno in difficoltà, per converso Washington crescerà.

 

Il referendum dell’identità

La consultazione in Donbass ha dato il risultato atteso. A differenza di quanto affermano media e politica atlantisti, non si deve alla presenza dei militari russi, bensì alla semplice presenza di due elementi. Il primo è che gli elettori del Donbass sono russi; lo sono per lingua, usi e costumi, cultura e religione. Il secondo è che sopportano da otto anni i colpi di artiglieria ucraini con un saldo di distruzioni, rovine e 14 mila morti. Entrare a far parte della Federazione russa è pertanto - oltre che un ricongiungimento logico - una polizza assicurativa sulla loro sopravvivenza.

Putin si è detto disposto, dopo l’esito del referendum, a negoziare la pace. Con ciò dimostrando come l’obiettivo principale dell’operazione fosse quello di mettere in sicurezza i russi del Donbass e azzerare la capacità militare dei battaglioni neonazisti, non certo prendere Kiev. Una guerra limitata che si è vista delle forze in campo e dal loro operare: nemmeno 100.000 uomini per un territorio grande due volte la Francia, nessun bombardamento dei suoi centri del potere politico e produttivo, nessun attacco alle popolazioni civili, nessuna distruzione di ponti, strade, centrali elettrici o porti, nessuna interruzione nemmeno nel somministro di gas. L’idea era quella di colpire i nazisti e tentare di preservare il Paese e la popolazione civile, che per il 40% è russofona. Se Mosca avesse voluto, l’Ucraina sarebbe rimasta al buio e senza acqua calda in poche ore e sarebbero crollate le infrastrutture di un paese che ha già soffre uno dei debiti più alti del mondo.

L’annessione del Donbass assicura il corridoio con la Crimea ed il controllo sul Mar di Azov e attaccare ora i cittadini del Donbass significa attaccare la Federazione Russa, con tutte le conseguenze che questo comporta. Lo sanno benissimo a Washington, Bruxelles, Kiev e Varsavia, questi ultimi isterici fanatici neonazisti che sognano la vendetta contro la Russia.

Zelensky, aizzato dai polacchi, chiede l’adesione rapida all’Organizzazione Atlantica, ma Washington ci va con i piedi di piombo, anche perché è già padrona dell’Ucraina senza bisogno che essa entri nella NATO. Le nuove disposizioni operative per le basi in Germania e Polonia sembrano indicare l’intenzione USA di preferire il mantenimento di una guerra di lunga durata e non di cercare il confronto totale con Mosca. Quel che è certo è che la Russia non accetterà mai un paese Nato ai suoi confini e far entrare Kiev nell’Alleanza Atlantica equivarrebbe ad una dichiarazione di guerra a Mosca. Si apre un passaggio dal quale dipenderà la sicurezza collettiva.

A Bruxelles si gioca una partita a scacchi. La NATO apparentemente tende a non sostenere Zelensky ricordandogli che non è in guerra e, come recita il Trattato, nessun paese in guerra può chiedere l’ingresso nell’organizzazione. Peraltro, se Kiev venisse ammessa, la presenza russa in Ucraina risulterebbe in corso un attacco ad un paese NATO e Kiev potrebbe invocare l’applicazione dell’articolo 5 del Trattato, che prevede la risposta di tutti i membri dell’organizzazione di fronte all’attacco verso ognuno di essi.

La prudenza di Washington si spiega anche con le prevedibili obiezioni che diversi membri NATO solleverebbero al riguardo. Anche perché Turchia ed Europa sarebbero chiamate ad assumere sulle loro spalle un conflitto che ne metterebbe a rischio l’incolumità sul terreno convenzionale e che potrebbe degenerare sul piano nucleare tattico, mentre Washington starebbe al sicuro a 6.000 chilometri di distanza (ammesso che davvero sarebbe così).

Nessuno pensa che l’Ucraina valga la terza e ultima guerra mondiale che, si calcola, produrrebbe nei primi giorni 34 milioni di morti. Ma vedremo cosa decideranno gli Stranamore USA, affascinati da sempre dalle guerre per procura. Ma attaccare direttamente la Russia sarebbe la peggiore delle idee. Può darsi un conflitto globale dove non ci sarà riparo per niente e nessuno e non sarà una guerra lontano da casa con altri soldati a combatterla: toccherà mezzi, risorse, città e cittadini statunitensi.

Vedremo se i poteri forti della finanza globale sceglieranno la terza guerra mondiale come prologo del grande reset del capitalismo mondiale o decideranno una strada che salvaguardi in primo luogo loro stessi. Vincere ma non sopravvivere non sembra una grande idea.

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