Una recentissima indagine della BBC ha fatto emergere nuove prove della condotta da criminali di guerra dei componenti delle forze speciali britanniche (SAS) durante gli anni dell’occupazione dell’Afghanistan. I documenti esaminati si riferiscono a un solo squadrone e a un periodo di appena sei mesi, ma certificano un comportamento e un numero di casi “sospetti” tali da far pensare a un bilancio complessivo a dir poco scioccante in termini di omicidi di presunti “insorti”, di torture e di molti altri abusi commessi dai militari di Sua Maestà.

La BBC ha avuto la possibilità di mettere le mani su nuove carte nell’ambito di un procedimento legale in corso e scaturito da un’indagine del 2019 della stessa rete pubblica e del Sunday Times su un singolo “raid notturno” delle SAS in Afghanistan. Questa circostanza ha fatto emergere le prove di un sistema di assassinii deliberati di uomini afgani dopo l’esecuzione di arresti nelle abitazioni di questi ultimi, quando cioè non vi erano rischi o minacce contro i soldati britannici.

 

A rivelare il modus operandi degli assassini delle forze speciali è stata una situazione che si veniva a creare con una regolarità tale da ipotizzare l’esistenza di una tattica ben studiata. Dal novembre 2010 all’aprile successivo si ripetevano casi in cui i sospettati talebani venivano uccisi in seguito ai blitz delle SAS mentre cercavano di imbracciare un AK-47 o nel tentativo di lanciare una granata agli occupanti britannici.

I componenti di una famiglia oggetto dei “raid” venivano condotti fuori dalle loro abitazione e arrestati. Dopodiché, uno o più di questi uomini veniva riaccompagnato dentro l’edificio, ufficialmente per un’ispezione che garantisse l’assenza di minacce. A questo punto, si legge nei rapporti dello squadrone delle SAS, il presunto “insorto” si lanciava in un tentativo di assalto con armi nascoste, venendo giustiziato dai militari britannici. Dopo l’esecuzione, a fianco della vittima veniva spesso posizionata un’arma per giustificare l’accaduto.

Il ripetersi di questi episodi aveva insospettito i vertici delle forze speciali, tanto che un alto ufficiale, rivela la BBC, aveva avvertito in un memorandum segreto dell’esistenza di una “politica deliberata” di assassinii illegali durante le operazioni sul campo. Le preoccupazioni erano tali che sarebbe stata in seguito ordinata un’indagine interna sullo squadrone delle SAS. L’incaricato giunto in Afghanistan per fare luce sui fatti avrebbe però raccolto soltanto le testimonianze dei singoli soldati, senza visitare le scene dei crimini e ritenendo superfluo interrogare altre persone a conoscenza dei fatti.

Mai nessuna prova fu consegnata alla Polizia Militare britannica e le denunce degli abusi vennero archiviate con la possibilità di essere consultate solo da pochissimi ufficiali. Lo stesso comandante delle forze speciali britanniche, generale Mark Carleton-Smith, nominato nel 2012, sarebbe stato a conoscenza delle uccisioni “sospette”, ma, dopo la prima missione di sei mesi del team incriminato, a quest’ultimo fu permesso di completarne un altro. Quando fu poi aperta un’indagine della Polizia Militare su uno di questi “raid” nel 2013, il generale Carleton-Smith non ritenne necessario mettere gli investigatori a conoscenza delle informazioni a sua disposizione né dell’esistenza di una precedente “revisione” interna dei metodi delle SAS.

Lo squadrone delle forze speciali al centro dell’analisi della BBC aveva operato per sei mesi a partire dal novembre 2010 nella provincia di Helmand, considerata una delle più pericolose di tutto l’Afghanistan per la forte presenza di “insorti” talebani. Il compito assegnato agli uomini delle SAS era precisamente quello di condurre raid per “uccidere o catturare” i comandanti talebani. Testimonianze raccolte dalla BBC sostengono che vi erano “seri problemi” nella raccolta di informazioni sui bersagli delle operazioni da parte dell’intelligence britannica. Gli agenti consegnavano una lista di presunti talebani che veniva “brevemente” discussa, per poi passare alle forze speciali sotto forma di ordine di “uccidere o catturare”.

Le stesse fonti della BBC raccontano come il processo di selezione dei bersagli fosse “affrettato” ed esposto a “pressioni”, provocando inevitabilmente lo scambio di civili per militanti talebani. Gli assassinii che ne seguirono non erano tuttavia solo il risultato di errori o di una presunta urgenza nell’agire contro il nemico, ma di un’attitudine criminale deliberata. Svariati ex membri delle SAS hanno rivelato alla BBC che le varie divisioni delle forze speciali impegnate in Afghanistan erano “in competizione tra di loro” per uccidere il maggior numero di afgani. Lo squadrone su cui ha indagato la BBC, inoltre, dichiarava esplicitamente di voler superare in questo senso quella che l’aveva preceduta. L’indagine pubblicata questa settimana ha raccolto elementi per dimostrare l’uccisione “illegale”, da parte degli uomini che ne facevano parte, di almeno 45 civili afgani nei raid condotti nello spazio di appena sei mesi.

Molto spesso il numero di persone uccise durante i raid notturni era più alto rispetto alla quantità di armi che il rapporto ufficiale delle operazioni elencava. I superiori arrivarono perciò facilmente a concludere che i morti erano in molte occasioni disarmati. Da queste osservazioni erano partite segnalazioni e denunce, arrivate fino al vertice dei comandi delle forze speciali britanniche. I documenti testimoniano di un frenetico scambio di comunicazioni nelle quali si ammetteva, ad esempio, il comportamento “eticamente e legalmente indifendibile” delle SAS in Afghanistan, fatto di “prove fabbricate” per far credere che si fosse in presenza di “uccisioni legittime per auto-difesa”.

Reporter della BBC hanno effettuato sopralluoghi in alcune abitazioni teatro di assalti delle SAS nella provincia afgana di Helmand. In un caso dettagliatamente descritto, l’arrivo degli uomini delle forze speciali si concluse nelle prime ore del 7 febbraio 2011 con un bilancio di nove vittime. Nell’edificio furono in questo caso recuperati appena tre fucili AK-47, mentre l’analisi balistica di esperti consultati dalla BBC ha escluso che fosse avvenuto uno scontro a fuoco. I fori di proiettile e le traiettorie indicano piuttosto esecuzioni vere e proprie di persone inginocchiate o sedute sul pavimento.

Un’indagine di ampio respiro della Polizia Militare sui raid delle forze di élites, denominata “Operazione Northmoor”, è durata dal 2013 al 2017, per essere poi definitivamente chiusa due anni più tardi. Più di 600 episodi sospetti sono stati analizzati in un clima di estrema ostilità. Il ministero della Difesa concluse che non vi erano prove di crimini, nonostante gli investigatori abbiano espresso fortissime riserve al proposito. Alle richieste di commento circa i nuovi sviluppi, il ministero ha definito “ingiustificate” le affermazioni della BBC, visto che si riferiscono ad accuse “già pienamente indagate”. Le truppe britanniche, per il governo di Londra, “hanno servito con coraggio e professionalità in Afghanistan”.

I fatti proposti questa settimana dalla BBC non sono di per sé nuovi ma offrono un’analisi approfondita che permette di avere almeno un’idea della portata dei crimini dell’occupazione ventennale dell’Afghanistan. Gli assalti notturni in abitazioni private di cittadini che, nella maggior parte dei casi, nulla avevano a che fare con gli “insorti” talebani sono noti da tempo come una delle pratiche più temute dalla popolazione afgana. A condurli non erano solo i soldati britannici ma, quanto meno, anche quelli americani e australiani.

Gli abusi e i crimini commessi non furono solo opera di singoli uomini o squadroni imbevuti di una cultura militare violenta e razzista. I loro superiori, fino ai massimi vertici delle forze armate, erano a conoscenza delle modalità con cui venivano condotte le operazioni, proprio perché si trattava di pratiche comuni. Tuttavia, al di là dell’ostentazione di qualche scrupolo all’interno di una ristretta cerchia e per ragioni più che altro di immagine e opportunità, nulla è stato fatto per punire i colpevoli né per far cessare gli omicidi una volta emerso il problema.

In linea generale, il fatto che crimini e violenze indicibili siano scaturite da quella che a lungo è stata proposta all’opinione pubblica occidentale come una “guerra giusta”, per democratizzare l’Afghanistan, è di per sé la smentita più clamorosa di queste stesse pretese. Quella seguita all’11 settembre 2001 è stata a tutti gli effetti una guerra motivata da interessi strategici ed economici e, in quanto tale, caratterizzata da brutalità e oppressione, concretizzatesi in episodi come quelli appena raccontati dalla BBC e molto altro.

Mentre il network britannico ricorda dunque in cosa siano consistiti i valori promossi da Londra in Afghanistan, il Regno Unito è in primissima fila nel sostenere una nuova finta crociata democratica in Ucraina, in appoggio di un regime infestato dal neo-nazismo e protagonista di ripetuti attacchi deliberati contro la popolazione civile filo-russa.

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