Quella presa mercoledì dagli organizzatori del prestigioso torneo di tennis di Wimbledon è una decisione gravissima, oltre che assurda, e virtualmente senza precedenti in ambito sportivo. I vertici del cosiddetto “All England Club” si sono infatti adeguati alla campagna contro Mosca del governo britannico, escludendo tutti i giocatori e le giocatrici di nazionalità russa e bielorussa dalla competizione che prenderà il via il prossimo mese di giugno. Il provvedimento ultra-discriminatorio è stato concordato con la federazione tennistica britannica (LTA, “Lawn Tennis Association”), la quale ha a sua volta annunciato che applicherà lo stesso bando per tutti i tornei del circuito in programma sul territorio inglese durante l’estate.

Il comunicato ufficiale apparso sul sito dei “Championships” è un capolavoro di cinismo e ipocrisia, anche se aiuta a capire le ragioni dell’esclusione dei tennisti russi e bielorussi. Gli organizzatori di Wimbledon sostengono di “condividere la condanna universale delle azioni illegali della Russia”, anche se i paesi che hanno preso apertamente posizione contro le operazioni militari di Mosca sono in realtà una minoranza, limitandosi all’Europa, agli USA, al Canada, al Giappone, alla Corea del Sud e a pochi altri.

 

La dichiarazione prosegue con un riferimento alle “indicazioni” del governo Johnson “in relazione agli organi e agli eventi sportivi”. Il fatto che la decisione sia dunque tutta politica si evince anche dall’affermazione esplicita che il prestigio di Wimbledon in tutto il mondo deve essere sfruttato per “limitare l’influenza globale della Russia”. In altre parole, i governi che appoggiano il regime ucraino stanno conducendo una battaglia di demonizzazione a tutto campo, incluso l’ambito sportivo, contro la Russia, la sua leadership e il suo popolo, così da alimentare un clima di odio che giustifichi l’invio a Kiev di armi sempre più potenti, se non un intervento diretto della NATO.

Il culmine dell’ipocrisia viene raggiunto con il tentativo di giustificare il provvedimento di esclusione con le “circostanze di un’aggressione ingiustificata e senza precedenti”. Al di là del giudizio sull’invasione russa dell’Ucraina, ci sono almeno due fattori oggettivi da considerare e che i vertici del “All England Club” si guardano bene dal discutere. Il primo è il carattere irresponsabilmente provocatorio delle politiche anti-russe degli Stati Uniti, dell’Europa e della NATO che, a partire almeno dal golpe neo-nazista del 2014 in Ucraina, hanno messo Mosca con le spalle al muro. Il secondo è la mancata denuncia negli ultimi due decenni delle aggressioni militari, in questo caso realmente ingiustificate, degli USA e dei loro alleati in svariate parti del pianeta.

Di non provocato e “senza precedenti” non c’è quindi nulla nella guerra in corso. C’è però dell’altro nella decisione di Wimbledon, ovvero la pretesa di estromettere tennisti e tenniste da quello che è forse il più prestigioso torneo dell’anno per evitare che “lo sport venga usato per promuovere il regime russo”. Ancora una volta, anche se si vuole condannare semplicisticamente l’operazione militare ordinata dal Cremlino senza considerare il contesto geo-politico, le responsabilità del governo e dei militari non possono essere attribuite ai tennisti russi, oppure ai musicisti o ai registi, così come i crimini commessi dall’imperialismo anglo-sassone non devono pesare sugli sportivi o sugli artisti inglesi e americani.

La decisione di Wimbledon e della federazione inglese è stata criticata dalle associazioni professionistiche internazionali del tennis maschile e femminile (ATP e WTA), perché “ingiusta”, “discriminatoria” e in grado “potenzialmente di stabilire un precedente dannoso” per questo sport. L’ATP ha ricordato come l’esclusione di giocatori in base alla loro nazionalità violi anche l’accordo con gli organizzatori del famoso torneo sull’erba londinese, secondo il quale l’acceso al tabellone è stabilito solo in funzione della classifica (“ranking”) mondiale.

Le proteste di ATP e WTA, che operano quasi come sindacati di giocatori e giocatrici e gestiscono tutti i tornei del circuito maggiore ad eccezione dei quattro “major” o “slam” (Australian Open, Roland Garros, Wimbledon, US Open), sono dettate più che altro da motivi di interesse, collegati al deficit in termini di appeal del loro sport causato dalla mancata partecipazione di un numero consistente di tennisti di vertice di nazionalità russa e bielorussa. In campo maschile, il bando colpirà, tra gli altri, due dei primi dieci giocatori del mondo: il numero 2 Daniil Medvedev, recentemente capace di raggiungere per un brevissimo periodo anche la vetta della classifica mondiale, e il numero 8 Andrey Rublev. Pesante sarà il provvedimento anche per le donne, ma in particolare per quelle bielorusse: la n. 4 del “ranking” Aryna Sabalenka e la ex numero uno, nonché vincitrice di due tornei dello “slam”, Victoria Azarenka.

Sia l’ATP sia la WTA sono in ogni caso anch’esse partecipi della caccia alle streghe anti-russa. A inizio marzo avevano infatti stabilito che i giocatori e le giocatrici di Russia e Bielorussia potevano continuare a partecipare alle competizioni internazionali solo con uno status “neutrale” e non sotto la bandiera dei loro paesi. La Federazione Tennistica Internazionale (ITF) non era stata da meno. Sempre il primo marzo aveva sospeso le federazioni nazionali russa e bielorussa e qualche giorno dopo era seguita l’esclusione dei team dei due paesi dalle competizioni a squadre maschile e femminile (Coppa Davis e Billie Jean King Cup).

La strumentalizzazione politica del tennis non è peraltro iniziata con le operazioni militari russe. Sempre in linea con gli obiettivi strategici degli Stati Uniti e dei loro alleati, ATP e WTA qualche mese fa avevano scatenato la loro indignazione selettiva contro la Cina. I tornei programmati in questo paese erano stati cancellati dopo l’esplosione del finto caso dell’ex giocatrice Peng Shuai. I vertici del tennis avevano sposato una “fake news” clamorosa, secondo la quale la Peng era stata vittima di un vero e proprio sequestro da parte delle autorità di Pechino dopo una sua denuncia di un presunto stupro subito da un ex membro di altissimo livello del Partito Comunista cinese. In realtà, la Peng aveva solo raccontato le vicende della sua travagliata relazione sentimentale con quest’ultimo, senza mai parlare di violenza sessuale, e dopo la diffusione della bufala del sequestro era apparsa più volte pubblicamente per rassicurare quanti la ritenevano in pericolo.

Per quanto riguarda ancora Wimbledon, l’esclusione dei tennisti russi e bielorussi era nell’aria da tempo. A metà marzo, il ministro dello Sport britannico, Nigel Huddleston, in un intervento in parlamento aveva spiegato che la rinuncia ai simboli delle loro nazionalità da parte degli sportivi di questi due paesi non era sufficiente e che il governo di Londra stava considerando la possibilità di estorcere una dichiarazione esplicita di condanna del Cremlino.

Il comportamento del governo britannico, degli organizzatori di Wimbledon e dei vertici del tennis mondiale è semplicemente rivoltante. In nessun caso sono mai stati discussi provvedimenti contro tennisti americani o inglesi a causa delle molteplici guerre di aggressione di cui si sono resi responsabili i loro governi. Nessuno ha inoltre mai chiesto ai tennisti americani o inglesi di denunciare George W. Bush o Tony Blair per l’invasione e la distruzione dell’Iraq sulla base di menzogne. Se gli standard di oggi fossero stati applicati anche agli Stati Uniti, da almeno due decenni i tennisti americani non avrebbero disputato un solo torneo internazionale.

Nell’estate del 2003, ad esempio, a poco più di tre mesi dall’inizio dell’invasione dell’Iraq, i tennisti americani e inglesi disputavano indisturbati il torneo di Wimbledon. La finale femminile venne giocata dalle sorelle americane Williams, mentre in ambito maschile l’americano Andy Roddick raggiunse la semifinale e l’inglese Tim Henman i quarti. Nel tabellone principale maschile erano in gara complessivamente 22 tennisti americani e inglesi e 24 in quello femminile. A nessuno fu impedito di partecipare al prestigioso torneo, né venne chiesto di rilasciare dichiarazioni contro l’orrore scatenato in Iraq da Washington e Londra o imposto di rinunciare alle bandiere di USA e Gran Bretagna.

In definitiva, il mondo dello sport, così come dell’arte, del cinema, del teatro o della musica, a livello internazionale o, più precisamente, nei casi in cui a decidere sono soggetti occidentali, sta partecipando in pieno alla propaganda anti-russa a supporto del regime ucraino, senza nemmeno interrogarsi sulle responsabilità di quest’ultimo e dei suoi sponsor o sulla componente neo-nazista che lo pervade.

Oltre al tennis, sono moltissime le federazioni sportive reclutate da Washington e dalla NATO. Nella vastissima campagna ultra-reazionaria in corso, si possono citare almeno lo spostamento della finale di Champions League di calcio da San Pietroburgo a Parigi, l’esclusione delle squadre di calcio russe dalle competizioni europee, l’annullamento di tutte le gare sciistiche previste in Russia, la cancellazione del gran premio di Formula 1 in Russia, originariamente in programma a settembre, e la penalizzazione di atleti e squadre di due sport in cui questo paese ha una tradizione di eccellenza, come il pattinaggio e l’hockey, quest’ultimo non a caso ritenuto lo sporto preferito da Vladimir Putin.

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