Mentre tra gli alleati americani in Occidente il fronte anti-russo continua ad apparire più o meno compatto, quanto meno a livello ufficiale, in altre aree del pianeta come nel continente asiatico le pressioni di Washington per isolare Mosca sono finora in larga misura inefficaci. Uno dei punti deboli della strategia degli Stati Uniti rimane l’India, il cui governo ha preso atto in fretta delle implicazioni esplosive per la sicurezza e per l’economia del proprio paese delle dinamiche innescate dalla crisi ucraina. Le resistenze di Delhi sono forse l’elemento più sgradito alle manovre della Casa Bianca per rimodellare gli equilibri mondiali, visto che, nel caso dovessero persistere, rischiano di scompaginare non solo i piani contro la Russia, ma anche quelli per il contenimento della Cina.

 

Le posizioni indiane restano per ora ferme nonostante alle porte del governo di estrema destra del primo ministro Narendra Modi abbiano bussato in molti nelle ultime settimane per convincerlo a saltare sul carro anti-russo. Pochi giorni fa, ad esempio, a Delhi era arrivato in visita il premier giapponese Fumio Kishida, portatore senza dubbio di un messaggio dell’amministrazione Biden che, a sua volta, aveva in precedenza criticato con toni relativamente blandi la fermezza indiana. Anche il faccia a faccia in videoconferenza tra Modi e il primo ministro australiano, Scott Morrison, non aveva portato a sostanziali cambiamenti dell’approccio dell’India alla questione russo-ucraina.

Le sollecitazioni coordinate tra gli alleati di Washington in Asia e Oceania rivelano le preoccupazioni che circolano tra i membri del cosiddetto “Quad” circa l’atteggiamento dell’India. Questo meccanismo – formato appunto da USA, Australia, Giappone e India – è da qualche tempo lo strumento principale creato da Washington per attuare le politiche anti-cinesi in Estremo Oriente e, ironicamente, il defilarsi di Delhi dall’offensiva russa minaccia un indebolimento dei piani contro Pechino.

L’evoluzione degli scenari asiatici è influenzata in primo luogo dalle contraddizioni delle scelte di politica estera degli Stati Uniti, costretti a muoversi su due tavoli per cercare di limitare la “minaccia” di Russia e Cina. La furia sanzionatoria di Washington, espressione di questa strategia di contenimento, comporta d’altra parte per gli alleati americani un prezzo sempre più alto da pagare, soprattutto in termini economici.

Se l’Europa ha miseramente sacrificato la propria autonomia e i propri interessi agli USA, altri paesi stanno per il momento resistendo alle pressioni. Per spiegare i calcoli del governo di Delhi, l’ex ambasciatore e analista indiano M. K. Bhadrakumar, in un articolo uscito qualche giorno fa sul sito Asia Times, ha spiegato come “la leadership indiana abbia percepito che in Ucraina è esploso uno scontro epocale globale tra gli Stati Uniti e i loro alleati da una parte e Russia e Cina dall’altra”. Il premier Modi, continua Bhadrakumar, ha valutato che da ciò sarebbe derivata una serie di “danni collaterali” per il suo paese.

Il conflitto in Ucraina è esploso, sempre secondo l’ex diplomatico indiano, dopo mesi durante i quali a Delhi era già in atto un ripensamento sull’utilità di legare i destini del paese a quelli degli USA e dei loro alleati. A suo dire, il mancato contributo occidentale alla lotta contro il COVID-19 e una riflessione sulle dinamiche economiche internazionali avrebbero così innestato un certo scetticismo nelle valutazioni della classe dirigente indiana sul percorso strategico fin qui intrapreso.

L’impatto stimato e in parte già evidente della guerra o, più precisamente, delle sanzioni contro la Russia nell’ambito delle forniture energetiche e alimentari ha poi fatto il resto, convincendo l’India che i propri interessi sono meglio difesi con una posizione neutrale. Già il riconoscimento di Mosca dell’indipendenza delle due repubbliche del Donbass non era stato condannato da Delhi a fine febbraio malgrado le prese di posizione invece molto nette degli altri membri del “Quad”. Ancora peggio per Washington è stata in seguito l’astensione indiana sulla risoluzione all’Assemblea Generale ONU del 2 marzo che chiedeva il ritiro delle forze armate russe dall’Ucraina.

Moltissimo si è discusso sui media di tutto il mondo anche della decisione del governo Modi di continuare a importare petrolio e gas dalla Russia. Anzi, a fronte delle sanzioni americane ed europee, Delhi ha concordato con Mosca un meccanismo per aggirare l’espulsione di un certo numero di banche russe dal sistema interbancario SWIFT e favorire i pagamenti in rubli e rupie. Questo dispositivo rappresenta un vero e proprio schiaffo alla Casa Bianca e, secondo fonti indiane, dovrebbe diventare operativo nel giro di pochi giorni.

Con l’appoggio del governo, circa 200 mila esportatori indiani avrebbero già manifestato interesse per questo nuovo sistema di pagamenti, a conferma che in gioco non ci sono soltanto le forniture di petrolio, peraltro a disposizione dell’India a prezzi scontati. L’associazione degli esportatori indiani ha spiegato che gli scambi commerciali con la Russia non sono ingenti e sono quasi del tutto limitati al settore agricolo e farmaceutico. Tuttavia, l’uscita di scena di operatori occidentali, giapponesi e sudcoreani in seguito alle sanzioni imposte da Washington apre potenzialmente un mercato vastissimo alle imprese indiane.

Un altro settore cruciale nei rapporti russo-indiani è quello militare, le cui basi vanno ricercate nell’era sovietica. Le relazioni in questo ambito erano proseguite anche dopo il 1992 e nel 2007 l’India è diventata il primo acquirente di armi russe. L’aspetto singolare della vicenda è che la cooperazione militare tra Russia e India non è venuta meno, se non parzialmente, nemmeno con l’intensificarsi della partnership strategica tra Delhi e Washington. Tanto che il governo Modi aveva sfidato le sanzioni americane seguite al golpe in Ucraina nel 2014 e dirette a ostacolare le esportazioni belliche russe, concludendo, come già la Turchia, un contratto per l’acquisto del sistema di difesa anti-missile S-400.

Le tensioni che rischiano di esplodere tra Stati Uniti e India dopo anni di costante avvicinamento sono determinate precisamente dal fatto che i piani strategici di Delhi convergono con quelli americani sulla questione del contenimento della Cina, ma non riguardo alla Russia. Per l’India, in altre parole, il mantenimento di ottimi rapporti con Mosca rappresenta una sorta di assicurazione di fronte al rinsaldarsi della partnership sino-russa e al costante allargamento dell’influenza di Pechino in Asia centrale e sud-orientale.

In un articolo pubblicato nel fine settimana sul sito New Eastern Outlook, l’analista politico russo Dmitry Bokarev ha sostenuto che il governo indiano “non ha alcun interesse a indebolire la Russia” e non solo per la questione delle importazioni di armi e petrolio. Una Russia fiaccata dalle sanzioni, infatti, trasformerebbe in maniera indiscutibile nella “prima potenza asiatica la Cina, le cui relazioni con l’India non sono delle migliori”. L’umiliante ritiro americano dall’Afghanistan, dove il Pakistan e la stessa Cina hanno ora la maggiore influenza, ha contribuito ulteriormente ad accrescere le perplessità indiane riguardo alle garanzie di sicurezza offerte da un’alleanza esclusiva con Washington.

Per tutte queste ragioni, è probabile che i leader indiani giudichino più opportuno o vantaggioso tenere posizioni equidistanti, bilanciando i propri rapporti con tutte le potenze internazionali. Un ripensamento strategico, quello forse in corso in India, che potrebbe addirittura dare un impulso alla partecipazione alle dinamiche multipolari in atto nello spazio euro-asiatico e che erano state accolte con freddezza per via delle pressioni americane, nonostante il ruolo ricoperto nei cosiddetti “BRICS”. Quasi a sottolineare il possibile rimescolamento delle priorità indiane in concomitanza con la crisi russo-ucraina, infatti, per la prima volta da due anni il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, qualche giorno fa è stato protagonista di una visita altamente simbolica a Nuova Delhi.

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