L’intervento in videoconferenza del presidente ucraino Zelensky al parlamento italiano nella giornata di martedì ha ricalcato i toni dei discorsi tenuti recentemente davanti ai rappresentanti di assemblee legislative di altri paesi europei e non solo. Come nelle precedenti occasioni, l’ex comico televisivo, reduce dalla firma su un decreto che soffoca ulteriormente qualsiasi attività dell’opposizione politica nel suo paese, si è profuso in una valanga di menzogne, in linea con la gigantesca macchina della propaganda in azione in tutto l’Occidente. L’obiettivo di Zelensky, così come di quello del successivo patetico discorso in aula del presidente del consiglio Draghi, è di aumentare le pressioni internazionali sulla Russia, col rischio sempre più concreto di innescare un conflitto inutile e dalle conseguenze difficilmente calcolabili.

 

È difficile dare conto delle falsità raccontate da uno Zelensky intento a costruire una realtà immaginaria nella quale la Russia di Putin avrebbe messo in atto un’operazione militare sanguinosa senza alcun motivo logico né riconducibile alle dinamiche geo-politiche dell’Europa orientale. Con un’immagine semi-trascurata creata a tavolino verosimilmente per ostentare le difficoltà in cui opera il suo governo, Zelensky ha innanzitutto spiegato di essere in collegamento da Kiev, quando è ormai noto e dimostrato da molte fonti indipendenti che il presidente ucraino è “ospite” della Polonia fin dai primi giorni seguiti all’inizio delle operazioni russe.

Per dare l’impressione di un esecutivo di “resistenza” e, assieme, per dimostrare la solidarietà a qualsiasi costo degli alleati dell’Ucraina, Zelensky e i governi di Polonia, Repubblica Ceca e Slovenia settimana scorsa avevano anche orchestrato una finta visita a Kiev dei leader di questi ultimi tre paesi. Basandosi su fonti riservate in Polonia e in Ucraina, nonché sull’analisi delle immagini rese pubbliche dell’evento, alcuni siti di informazione indipendenti avevano dimostrato che il viaggio in treno dei tre leader non era mai avvenuto e che alla fine l’incontro era andato in scena in una località polacca vicina al confine con l’Ucraina.

Particolarmente rivoltante è stato il riferimento alla città di Mariupol, sotto assedio delle forze russe, e il paragone con Genova. Zelensky ha invitato i deputati italiani a immaginare che il capoluogo ligure medaglia d’oro della Resistenza venga distrutto da un esercito nemico e i cui abitanti siano costretti a fuggire in massa. Ciò che Zelensky ha tralasciato di dire è che Mariupol resta sotto il controllo delle organizzazioni paramilitari apertamente neonaziste, a cominciare dal Battaglione Azov, che hanno a lungo tenuto in ostaggio i civili e si oppongo alla creazione congiunta di corridoi umanitari. Molti residenti in grado di lasciare Mariupol sono stati in questi giorni intervistati da giornalisti indipendenti anche italiani e hanno quasi sempre denunciato l’uso dei civili come scudi umani da parte del Battaglione Azov.

La “resistenza” di Mariupol, citata anche da Draghi, è dunque una fantasia, mentre la realtà dei fatti parla di una popolazione civile sollevata dalla prospettiva di liberare la città dal controllo neonazista. Ugualmente assurda è l’accusa fatta da Zelensky alla Russia di “minare i porti” e di portare distruzione indiscriminata nelle città ucraine. La relativamente lenta avanzata russa e l’altrettanto relativamente basso numero di vittime civili fin qui è dovuto proprio alla scelta da parte di Mosca di non operare rovinosi bombardamenti a tappeto, come fecero ad esempio gli Stati Uniti nella guerra contro l’ISIS in Siria devastando completamente, tra le altre, la città di Raqqa. La questione delle mine russe, inoltre, ha poco o nessun senso, visto che non hanno nessuna utilità per un esercito in avanzamento. Secondo la Russia, sarebbero piuttosto le forze ucraine ad avere fatto ricorso a queste armi in funzione difensiva, posizionandole ad esempio al largo del porto di Odessa, col rischio che possano raggiungere il Bosforo o il Mar Mediterraneo.

Dopo avere attribuito tutta la responsabilità della guerra a Putin, Zelensky ha sostenuto che l’obiettivo russo è in sostanza di distruggere i valori di libertà e democrazia in tutta Europa. La difesa di questi stessi valori l’ha invocata poco dopo anche Draghi, al quale non deve essere sfuggita tuttavia la recentissima decisione di Zelensky, ricordata all’inizio, di mettere fuori legge parecchi partiti politici di opposizione in Ucraina. Il mancato riferimento alle tendenze non esattamente democratiche del regime di Zelensky, influenzato com’è noto da organizzazioni neonaziste, non è solo ed evidentemente dovuto al fatto che questa realtà stride con la ridicola retorica occidentale della barbarie russa e del paradiso democratico ucraino. Da considerare c’è anche la deriva autoritaria molto simile che interessa praticamente tutti gli stessi governi europei, a cominciare da quello italiano, e che ha registrato una drammatica accelerazione negli ultimi due anni.

Presumibilmente, il tipo di democrazia per cui l’Europa e gli USA starebbero per rischiare la terza guerra mondiale è un modello come quello ucraino dominato dall’elemento neonazista, nel quale il presidente ha ad esempio ritenuto di bandire un partito che detiene ben 44 seggi nel parlamento di Kiev. Questo partito è la “Piattaforma di Opposizione - Per la Vita”, che guarda caso ha una significativa base di appoggio tra la popolazione russofona in Ucraina orientale. Il suo leader è l’oligarca filo-russo Viktor Medvedchuk, secondo la stampa ufficiale in Occidente molto legato al Cremlino. Medvedchuk era finito agli arresti domiciliari con l’accusa di tradimento, ma dopo l’inizio delle manovre militari russe avrebbe fatto perdere le proprie tracce. La denuncia di quest’ultimo è singolare se si pensa che lo stesso Zelensky ha come protettore l’oligarca Ihor Kolomoisky, uno degli uomini più ricchi e influenti in Ucraina nonché finanziatore, nonostante le origini ebraiche, dei neonazisti del Battaglione Azov.

Dieci altri partiti hanno dovuto inoltre cessare l’attività politica, quasi tutti di (centro-)sinistra e contrari all’ingresso di Kiev nella NATO o nell’Unione Europea. Il decreto si accompagna a un altro che stabilisce di fatto il monopolio del regime sull’informazione attraverso la fusione in un’unica entità di tutte le televisioni nazionali. Kiev aveva in precedenza messo al bando i network russi e, ancora prima dell’inizio della guerra, altri tre canali con legami veri o presunti con i partiti di opposizione. Le ultime iniziative di Zelensky sono state accolte da un commento sarcastico dall’ex primo ministro russo Medvedev che non è andato molto lontano dal vero. Riferendosi al monopolio della verità che si attribuiscono i governi e i media ufficiali negli USA e in Europa, Medvedev ha affermato che “il più democratico presidente dell’Ucraina moderna ha fatto un altro passo verso gli ideali democratici occidentali”.

C’è infine almeno un altro punto del discorso di Zelensky in collegamento con Montecitorio e del contro-intervento di Draghi che trasuda ipocrisia e disonestà. L’appello ad applicare sanzioni punitive sempre più pesanti contro la Russia e a fornire armi alla “resistenza” ucraina dovrebbe cioè avere come obiettivo ultimo la fine delle ostilità e il raggiungimento di una soluzione pacifica al conflitto. Il presidente ucraino ha chiesto il blocco dei beni di coloro che prendono le decisioni in Russia, assieme all’imposizione di un embargo totale sulle esportazioni russe e all’esclusione di tutte le banche di questo paese dai circuiti finanziari internazionali. Draghi, da parte sua, ha vantato il ruolo italiano nella fornitura di armi per la “difesa” ucraina, ben sapendo che l’escalation della militarizzazione del paese dell’ex Unione Sovietica, oltre a rafforzare la galassia neonazista, non fa che inasprire la guerra causando altri morti tra i civili e facendo aumentare il rischio di un allargamento delle ostilità.

La tesi di Draghi secondo cui le sanzioni occidentali e l’afflusso di armi in Ucraina servono a convincere Putin a “cessare le ostilità” e a “sedersi con serietà e sincerità al tavolo dei negoziati” non ha alcun senso. L’obiettivo degli Stati Uniti e dei loro alleati in Europa è stato quello di provocare un intervento militare in Ucraina che era internamente evitabile se si fosse quanto meno trattato sulle legittime esigenze di sicurezza di Mosca.

La malafede occidentale è stata oltretutto confermata in questi giorni dallo stesso burattino intervenuto martedì al parlamento italiano e che ha preferito fuggire dal suo paese dopo lo scoppio delle prime armi russe il 24 febbraio scorso. In un’intervista alla CNN, Zelensky ha rivelato di avere chiesto ai padroni in Occidente di dichiarare pubblicamente la loro disponibilità ad accettare l’Ucraina nella NATO entro cinque anni. La risposta “molto chiara”, espressa in privato, è stata che non vi era nessuna possibilità per Kiev di accedere né alla NATO né all’UE, ma a livello pubblico i governi occidentali intendevano continuare ad affermare che per l’Ucraina le porte sarebbero rimaste aperte.

Va ricordato a questo proposito che le proposte russe inviate a USA e UE nelle settimane precedenti l’inizio delle operazioni militari includevano e, anzi, avevano al primo posto la garanzia scritta che l’Ucraina non sarebbe mai entrata nella NATO. A Washington e a Bruxelles, dove si temeva e si continua a temere uno scontro militare diretto con la Russia, questa condizione era dunque già stata accettata di fatto, ma, anche se il dichiararlo pubblicamente poteva evitare la guerra, si è scelto di far credere che l’opzione NATO restava sul tavolo per l’Ucraina, precisamente per attirare il Cremlino in un conflitto armato.

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